E’ difficile dire se nelle pagine di 30Giorni ci fosse il sogno di una Chiesa che respira a pieni polmoni, così come oggi sta prendendo corpo nelle parole e nell’azione di papa Francesco. Una chiesa che rifacendosi al Vaticano II, uscisse dal cenacolo e con coraggio e gioia annunziasse la buona novella di un Dio che tutti accoglie, senza confini, a partire dai più poveri e da chi porta nel suo corpo le ferite profonde del non senso, della disperazione, del peccato. Insomma una chiesa “in uscita”, figlia di una “novella Pentecoste” come sognava papa Giovanni.
La domanda, la ricerca non sono facili. Ma almeno tre segni ci potrebbero permettere di pensare ad un ruolo profetico svolto dalla rivista 30Giorni e soprattutto da chi la animava. Se tutti sanno che il direttore responsabile, almeno a partire dai primi anni Novanta, era Giulio Andreotti, pochi sanno che l’animatore era don Giacomo Tantardini e che quindi nella sua figura e nella sua storia si nascondono la storia e la fisionomia della rivista e, di riflesso, il presagio che oggi sta lentamente ma profondamente compiendosi nella chiesa, anche se con non poche resistenze e difficoltà, ma irresistibilmente.
Tre dunque i segni. 30Giorni era l’unica rivista o quasi che in Italia dava voce al card. Bergoglio: sono sette i suoi interventi e vanno dal 2007 al 2012. Mettendoli a confronto con il suo magistero pontificale e con alcune sue scelte non ci sono differenze; accenti e scelte coincidono. Resta emblematica l’intervista rilasciata nel 2007 su quanto l’arcivescovo di Buenos Aires avrebbe voluto dire al Concistoro, cui non poté poi partecipare per una grave allergia. Due parole la riassumono: “misericordia e coraggio missionario”. Come non si può dimenticare il modello di prete che Bergoglio presentava: don Pepe.
Altrettanto chiaro il ruolo riservato dalla rivista agli interventi e alle interviste rilasciate da alcuni vescovi dell’America Latina. Quasi la percezione che il domani di tutta la chiesa passasse attraverso la vita e le scelte pastorali delle chiese nel continente sud-americano. Mediamente si può dire che a partire dal 2007 nella maggioranza dei numeri della rivista appaiono riferimenti alle chiese dell’America Latina o abbondano interviste rilasciate da vescovi del medesimo continente. Possono essere emblematiche le pagine della rivista sulla chiesa di Cuba e ancor più il titolo che riassume le risposte date dal card. Hummes: “L’imperialismo del denaro”. Il riferimento al 2007 resta significativo perché in quell’anno si svolge ad Aparecida la grande conferenza episcopale di tutta l’America Latina: una assemblea nella quale la presenza e la regia del card. Bergoglio furono decisivi, soprattutto nella stesura del documento finale; pagine che possono essere una chiave di lettura del pontificato di papa Francesco.
Ancor più significativo il rapporto tra l’arcivescovo di Buenos Aires e don Giacomo. Un rapporto che si manifesta in modo particolare nel 2012 nella chiesa di san Lorenzo a Roma. Parlando ai cresimandi li invitava a pregare per don Giacomo che era “un pochettino ammalato”, lamentandosi poi che i ragazzi non rispondessero subito all’invito. Don Giacomo era “un suo amico e lui lo conosceva bene”. Qualcuno pensa che se don Giacomo camminasse ancora fra noi, papa Francesco l’avrebbe chiamato vicino a sé, più come un fratello ed un amico in cui specchiarsi che come un cardinale; non a caso, infatti, parlando del “carattere forte” di don Giacomo e della sua “irrequietezza”, forse papa Francesco pensava al suo “carattere forte” e insieme alla “grazia” che come aveva operato in don Giacomo rendendolo mansueto, così non mancava di operare anche in lui.
Altrettanto toccante un’altra immagine: per papa Francesco in don Giacomo c’erano “la semplicità e lo stupore del bambino”, la capacità di consegnarsi ad ogni persona che incontrava, quasi esistesse solo lei; è la stessa sensazione che si prova incontrando papa Francesco. Insomma nella figura di don Giacomo come in tante pagine di 30Giorni già si sentivano accenti e si intravvedevano orizzonti che oggi sembrano aprirsi e sentirsi per tutta la Chiesa