I programmi duplicati, e dunque pirata, possono o no essere motivo di condanna? Fino ad oggi le sentenze e le casistiche presentate al riguardo sottolineavano la criminalità dell’uso di programmi software piratati o duplicati all’interno di aziende, imprese o soggetti singoli come liberi professionisti, come violazione del diritto d’autore (“chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae“). Fanno testo ad esempio due sentenze rilasciate dalla Corte di cassazione in recente passato. Nella prima veniva rigettato il ricorso presentato da un titolare di azienda condannato a quattro mesi di carcere e a una multa di mille euro per aver installato diversi software sui computer aziendali senza però averne acquistato la licenza. L’imputato aveva comprato una sola copia dei programmi in questione quindi aveva provveduto a duplicarli e a installarli sui computer aziendali. Per la Corte, duplicare un programma e installarlo su vari computer comporta la violazione della prima parte del primo comma dell’art.171-bis della legge 22 aprile 1941, n.633. In un altro caso la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista di Lecco che aveva diversi programmi non originali: condannato a 9.400 euro di multa di cui 5400 convertiti in quattro mesi di reclusione. Aveva presentato ricorso sostenendo che l’utilizzo dei programmi era a fine personale e non per motivi di lucro, cioè per rivenderli. Non sarebbe cioè esistito il dolo specifico. La Corte invece aveva stabilito che basta il solo fine di profitto e non quello di lucro per svolgere utilizzo che violi la legge sul diritto d’autore. Adesso invece arriva una sentenza del Tribunale di Bologna che in un certo senso ribalta la casistica esistente e potrebbe indicare la possibilità di utilizzo di software illegali. Nel caso di un architetto trovato in possesso di programmi duplicati di cui non aveva acquistato la licenza, l’uomo è stato assolto dall’accusa di violazione di diritto d’autore in quanto libero professionista che fa uso di prestazione di opera intellettuale e non di esercizio dell’attività di impresa. Assolto dunque l’architetto accusato di violazione del diritto d’autore per l’utilizzo di nove programmi duplicati in modo abusivo e usati per la sua attività lavorativa.
Il giudice di Bologna ha dunque assolto l’imputato perché il fatto non sussiste: “l’attività svolta dall’architetto è incontrovertibilmente annoverabile fra le prestazioni d’opera intellettuale e in quanto tale differisce dall’esercizio dell’attività d’impresa nell’ambito del quale si applica l’art.171 bis della legge 633/1941”. Secondo diversi commenti, quanto espresso dalla sentenza potrebbe essere applicabile all’uso privato di programmi piratati. Il che aprirebbe tutta una revisione della casistica del caso e potrebbe introdurre nuovi scenari.