Ricorre oggi l’anniversario della strage di via Fani a Roma. Il 16 marzo 1978 un commando delle Brigate rosse rapì il presidente della Democrazia Cristina, Aldo Moro, e uccise i cinque agenti della sua scorta, tre poliziotti e due carabinieri. Questa mattina il ministro dell’Interno Marco Minniti è andato proprio in via Fani per ricordare quanto accaduto 39 anni fa. Il ministro Minniti era accompagnato dal prefetto di Roma, Paola Basilone, dal capo della Polizia, Franco Gabrielli e dal comandante generale dei Carabinieri, Tullio Del Sette: ha deposto una corona d’alloro e si è fermato per un momento di raccoglimento. Aldo Moro, quel 16 marzo 1978, stava andando alla Camera per la fiducia al quarto governo Andreotti ma fu fermato dall’agguato. Il commando uccise in via Fani il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi e l’appuntato Domenico Ricci, il vicebrigadiere della Polizia di Stato Francesco Zizzi e gli agenti Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Il presidente della Dc verrà trovato morto il 9 maggio 1978.
Il sequestro di Aldo Moro, dopo il suo rapimento in via Fani, durò 55 giorni. L’agguato del commando delle Brigate Rosse del 16 marzo 1978 fu rivendicato poco dopo con una telefonata all’Ansa. Queste furono le tappe del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, come ricorda l’agenzia di stampa: lo stesso 16 marzo Cgil, Cisl e Uil proclamarono lo sciopero generale e in serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottenne la fiducia alla Camera e al Senato. Due giorni dopo, il 18 marzo, arrivò il ‘Comunicato n.1’ delle Br, che conteneva la foto di Aldo Moro e annunciava l’inizio del ‘processo’. Durante la trattativa tra Stato e brigatisti furono recapitati vari ‘comunicati’ delle Brigate Rosse e lettere di Moro ai familiari e ai dirigenti della Democrazia Cristiana. L’epilogo il 9 maggio quando in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), la polizia trovò il cadavere di Aldo Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come ”prigione del popolo”.
Ricostruisce il significato del rapimento di Aldo Moro in via Fani, Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano. Lo storico milanese, come riporta l’agenzia di stampa Agensir, è autore della più recente biografia dello statista democristiano – “Aldo Moro: lo statista e il suo dramma” (Il Mulino) – e ritiene che ci siano ancora molti aspetti non chiariti della vicenda. “A ormai quasi quarant’anni di distanza, la tragedia di Moro non ha finito di far discutere – sottolinea Formigoni -. L’impressione di una verità monca e parziale incombe sui fatti. E quindi non permette di trovare una pacificazione della memoria”: c’è “l’impressione che la reticenza delle Br copra qualche aspetto indicibile della drammatica vicenda”. Aldo Moro, spiega lo storico, dal “carcere del popolo” cercava un percorso “che contemperasse la propria salvezza e la continuazione di un progetto politico di cambiamento” del Paese perché “aveva colto acutamente i segnali di una crisi incombente della democrazia italiana”. Clicca qui per leggere tutto.