CIRO ESPOSITO. Dopo che la Corte d’Appello di Roma ha ridotto da 26 a 16 gli anni che deve scontare Daniele De Santis per aver ucciso il tifoso del Napoli Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia, la madre in un’intervista si sfoga e dice “Con questa sentenza hanno ucciso mio figlio un’altra volta”. Durante il mio servizio sacerdotale, mi accade spesso di mettermi in ascolto di madri con figli dalle età più disparate. Capita sovente che queste mamme mi confidino la loro stanchezza, le ore rubate al sonno, o anche solo le apprensioni che seguono le normali tappe di crescita perché, come una volta mi disse una di loro, “una madre non chiude gli occhi neppure nel sonno”. Una malattia, un incidente, il figlio che cade nella dipendenza da alcol o droga o che frequenta un brutto giro accadono a chiunque.
Tutte le volte che devo accompagnare questi dolori mi mancano le parole ed il rischio della retorica è fortissimo cosi come forte è il pericolo di cadere nel moralismo più becero: quello che va dal “ma come lo hai tirato su”, al “come si fa a non accorgersi”, passando per la crisi dei valori e della famiglia. Ma se riesco ad ascoltare davvero, scopro che spesso è facile trovare il modo per stare vicino a chi me lo chiede e offrire una presenza sollecita e silenziosa. Nel caso della mamma di Ciro non è così. Non so trovare consolazione. Non so trovare parole o spazio di vicinanza.
Perché se già tuo figlio è morto per un fatto assurdo e inaccettabile, sapere che il colpevole della vile aggressione era già noto alla giustizia ma non era incorso mai in conseguenze penali per i suoi atti, manda a mille amarezza e rabbia: per di più, scoprire che per la giustizia la causa della morte di tuo figlio in fondo è stata solo “una bravata” riaccende le ore e i giorni di agonia di tuo figlio e uccide la speranza di giustizia (non di vendetta) che ciascuno di noi porta nel cuore.
La morte di un figlio non può essere derubricata a una faccenda che è poco più di una baruffa tra ragazzi. È davvero, come ha detto la madre di Ciro, un secondo omicidio. Più crudele del primo, se possibile. La legge non può dare la vita, lo sappiamo benissimo. E oltretutto non si sta invocando nessuna ritorsione o rappresaglia. Ma la giustizia dovrebbe almeno proteggere la memoria di un ragazzo morto senza una ragione. Può e deve. La giustizia è necessaria anche per dare un segno ad altri giovani. Per dire che la vita non è un videogame e se uccidi qualcuno, non basta un gettone per andare oltre il game over e ripartire. La vita non è un gioco e trattarla come se lo fosse non è una “bravata” ma una responsabilità terribile, un peso che ha tutta l’ampiezza e la portata della dignità di ogni essere umano e delle sue relazioni. Domattina nella Messa pregherò ancor di più per Ciro e la sua mamma. E tutti coloro che, nell’ingiustizia, sono coinvolti in questa terribile storia.