Questa estate è diventata una macabra sequenza di contabilità. La terza settimana di luglio si è conclusa a Monaco di Baviera con il coprifuoco, ma intanto in altre zone del mondo, non poi tanto lontano da noi, ci sono stati altri due massacri. A Baghdad, un kamikaze terrorista dell’Isis a un checkpoint ha provocato 14 morti e più di 30 feriti. Venerdì a Kabul, in Afghanistan, in pieno giorno nel quartiere Dehmazang, dov’era in corso una manifestazione di migliaia di membri della comunità hazara afghana, etnia di lingua persiana e di religione sciita, sempre kamikaze dell’Isis hanno provocato più di 80 morti e oltre duecento feriti.
Coerente, quasi scontato, con la sua linea, lo scisma wahabita dello stato islamico colpisce alternativamente a occidente e poi nel medio oriente e ancora più in là. Di fronte alla perdita sul terreno della guerra convenzionale, reagisce con rabbia e determinazione con la guerra asimmetrica del terrorismo.
Tanto per ripetere un concetto che forse qualcuno non può o non vuole digerire, esiste uno scisma devastante nell’islam, dove una fazione wahabita intransigente, magari in sintonia anche con gruppi dei Fratelli musulmani, ha dichiarato guerra senza quartiere sia agli occidentali sia ai musulmani che vogliono vivere in pace, cercando forme di convivenza civile e integrazione, magari pure strade di democratizzazione e di laicizzazione progressive. E’ difficile addentrarsi in questo mondo sterminato che ha diverse storie nazionali.
Ma sarà bene prendere atto che le famose banlieues occidentali, i disagi di carattere sociale, le forme anche di emarginazione hanno senz’altro un peso, ma che è relativo rispetto a quello che è il nocciolo dell’ideologia dell’Isis. Gli scismatici innanzitutto non vogliono lo Stato laico, impongono la sharia come legge dello Stato, non tollerano che le ragazze vadano a scuola. L’elenco delle proibizioni è lungo.
Qualcuno faccia lo sforzo di leggere attentamente le biografie di questi “soldati” dell’Isis e rimarrà colpito non dal disagio sociale che vivono, ma dall’idea “forte” (per loro) che abbracciano.
E’ chiaro o è ancora confuso il concetto? Si riesce, a dispetto di tutte le leggende metropolitane autoconsolatorie che circolano in Occidente, prendere atto di questa realtà o no? Forse ormai il problema è quello di mettere in chiaro rapporti consolidati con alcuni Paesi arabi, giocare a carte scoperte sui traffici “in nero” di armi e petrolio, analizzare la possibilità di un tentativo di soluzione di tregua per tutto il Medio oriente, arrivare a una collaborazione senza doppi sensi.
L’obiettivo è isolare lo scisma, il terrorismo, persino il suo fascino perverso per quelli che forse un tempo venivano chiamati i “dannati della terra”, ma gli errori, l’inattività, persino la prudenza nello scambio di informazioni (non si parla ancora di collaborazione nel campo dell’intelligence) sta diventando grottesca.
Ci si chiede ad esempio se, in Europa, esista o non esista un’attività diplomatica minimamente coordinata.
L’attentato di Monaco, a ben guardare, è stata una “spia” dello stato di tensione che vive un’intera società. Ieri c’è stato in Germania un altro momento di terrore. A Reutlingen un uomo ha ucciso a colpi di machete per strada una donna e ha ferito altre due persone. L’ossessione sta anche nel particolare sottolineato dalla notizia battuta dall’agenzia: l’episodio si è svolto vicino a un negozio di kebab.
Questo è lo scenario mondiale principale, quello che dovrebbe avere una risposta da una classe dirigente occidentale di prim’ordine e da società compatte, coese per usare un aggettivo alla moda, pronte a sostenere sacrifici.
A che cosa ci troviamo di fronte invece in questi giorni, mentre stanno avvenendo tutti questi avvenimenti drammatici? Arriva dalla lontana Cina, da Chengdu per l’esattezza, la riunione del G20 finanziario che nel suo comunicato finale dice, tra le altre cose, che “bisogna ricorrere a tutti gli strumenti possibili per rilanciare la crescita sotto pressione con la Brexit che ha aggiunto altre incertezze in un’economia globale alle prese con terrorismo e altre sfide”. Insomma, il G20 finanziario ci spiega che dopo nove anni, in una situazione mondiale destabilizzata, bisogna cercare gli strumenti per la crescita che è ancora debole e che, dato che sono passati nove anni, arricchisce solo le file dei poveri e dei disoccupati. Presto sapremo (il 12 agosto) tutte le revisioni al ribasso, rispetto alle previsioni di inizio anno, e quali manovre mettere in atto per salvaguardare i conti pubblici e cercare la famosa crescita.
Ora, abbiamo parlato più volte di un collasso mondiale della classe dirigente di molti paesi occidentali, ma che il mondo debba ascoltare le sentenze stabilite da questa “associazione di bancari incapaci” è l’aspetto più inquietante che si potesse immaginare. L'”associazione dei bancari incapaci” prende ogni tanto altri nomi, si rifugia in circoli appartati internazionali, la Trilateral o il Bilderberg, fa convegni e diventa il “partito di Davos”, ma con la sua predicazione liberista in nove anni non solo non ha risolto un accidenti di niente, ma sta sgretolando società un tempo compatte. Ora queste società sono sprofondate in diseguaglianze rovinose e vivono condizioni di disagio profondo.
Alcuni dei “bancari” saranno grandi maestri massoni, altri illuminati, altri impareggiabili speculatori di Borsa, ma sostanzialmente sembrano dei deficienti politici che presto saranno inseguiti per strada da folle inferocite.
E’ possibile che nessuno si sia reso conto che la campagna elettorale che si sta svolgendo negli Stati Uniti è contrassegnata da segnali di sempre più pesante insofferenza sociale? Può vincere Hilary Clinton, ma lo scontento nel suo stesso Partito democratico, interpretato dall’outsider Bernie Sanders, è la risposta di sinistra che corrisponde alla risposta di destra di Donald Trump all’establishment finanziario di Wall Street, che ha avuto prima e dopo la crisi del 2007 una condotta irresponsabile, banditesca e criminosa.
E che cosa sta accadendo nelle società europee? Forse il socialista francese François Hollande ha raggiunto solo per caso una popolarità pari al 12 per cento e deve fare i conti, lui insieme a “Sarkò e Carlà”, dell’attacco sempre più pesante del Front National? Ha sentito i fischi al premier Manuel Valls sulla Promenade des Anglais? O forse è il corresponsabile di una politica economica europea che qualsiasi riformista avrebbe bollato come un pasticcio di capitalismo finanziario?
Quale società occidentale non è attraversata oggi da un senso di incertezza e di insicurezza? Persino la “grande Germania” guarda ogni tanto smarrita e deve pensare ai derivati della sua Deutsche Bank.
L’Italia può consolarsi con le parole pronunciate dal ministro Pier Carlo Padoan, al termine del G20: “il sistema delle banche italiane è solido”. Parole che saranno state senz’altro apprezzate dai risparmiatori di alcune banche andate per aria. Ma forse nessuno ha voglia di prendere sul serio il nostro ministro dell’Economia.
In Italia abbiamo altre sicurezze. Da 25 anni ormai facciamo la guerra alla corruzione politica, da dieci alla “casta”. L’obiettivo principale è la lotta all’evasione fiscale, anche se esiste una delle più grandi pressioni fiscali dei paesi occidentali normali. Bisognerebbe ottenere qualche risultato, perché qui si sta affacciando un rebus: ma l’Italia stava meglio 25 anni fa o sta meglio adesso?