Si riapre il caso di Lidia Macchi in seguito alle novità emerse a distanza di 29 anni dal delitto. Tra le prove contro Stefano Binda, presunto assassino della Macchi, ci sarebbe anche una confessione registrata da Patrizia Bianchi, la super testimone, su una sua agenda, ora al vaglio degli inquirenti. Del contenuto sarebbe entrato in possesso il quotidiano “Il Secolo XIX” e che aprirebbe la strada ad una ipotesi importante: secondo la ricostruzione di Patrizia, un prete avrebbe raccolto la confessione dell’assassino e, quindi, saprebbe la verità sull’omicidio di Lidia Macchi. Come scrive il quotidiano, si tratta questa di una storia nella quale spesso emerge la presenza di preti alla luce del movimento politico-religioso, Comunione e Liberazione, del quale facevano parte sia Lidia che Stefano e Patrizia. A Cl aderiva anche Don Baroncini, guida spirituale che pochi mesi prima del delitto di Lidia Macchi fu trasferito a Milano. Lo stesso Don che, secondo gli appunti della super testimone realizzo l’omelia funebre per Lidia. Potrebbe essere lui il sacerdote che ha raccolto il pentimento del killer? La donna, interrogata dagli inquirenti, avrebbe rivelato, basandosi unicamente sui suoi ricordi seppur incerti: “E’ don Fabio, o don Serafino”. Quest’ultimo è stato parroco di Brebbia, paese distante venti chilometri da Varese dove vive Stefano Binda. A differenza di Don Baroncini, ancora in servizio, Don Serafino è morto tre anni fa.
Spuntano novità sul caso di Lidia Macchi, la giovane ragazza di Varese uccisa 29 anni fa e per cui è accusato e in carcere da tre mesi l’ex compagno di scuola, Stefano Binda. Secondo rivelazioni effettuate dalla Stampa di Torino, gli inquirenti avrebbero in mano l’agenda della testimone chiave delle indagini, Patrizia Bianchi (quella che ha riconosciuto la calligrafia di Binda sulla lettera mandata ai Binda il giorno del funerale e in cui erano contenuti particolari che forse solo l’assassino avrebbe potuto sapere). Nell’agenda ci sarebbero prove ulteriori contro Binda: una sorta di dialogo tra lei e il presunto assassino e una terza persona. Secondo quanto riportato dalla Stampa, dopo il ritrovamento del cadavere di Lidia, Patrizia avrebbe raggiunto Stefano davanti alla chiesa di San Vittore e avrebbe annotato quanto detto in quel dialogo: «Tu non sa, non puoi nemmeno immaginare cosa sono stato capace di fare» firmato tra parentesi “T”, poi altre due dichiarazioni firmate “D” e “L”. Ma di chi si tratta? Sempre secondo gli inquirenti T e L sarebbero Teti e Lea, come si chiamavano affettuosamente Stefano e Patrizia, ma il terzo starebbe per Don, il che porta i sospetti contro un prete che avrebbe potuto sapere tutto. Restano molti aspetti davvero poco chiari e che meritano attenta riflessione prima di “sparare” sentenze: se è davvero confermato questo dialogo, perché Patrizia Bianchi avrebbe davvero aspettato tutto questo tempo a riferirlo? La Stampa ipotizza, come l’ex pm di Varese Abate, che dietro all’uccisone di Lidia Macchi ci sia una sorta di copertura dalla cerchia di amici di Comunione e Liberazione che nasconderebbe la verità. Accuse e attacchi mediatici, trent’anni fa come oggi, senza prove o indizi: passare dalle responsabilità personali a quelle di un movimento o di una istituzione è sempre rischioso e soprattutto non vero, visto che i processi si basano su fatti e prove e al momento sono pochi e manchevoli. Specie perché all’origine di tutto c’è un errore clamoroso da parte della Procura che ha cancellato nel Duemila tutti i vetrini con il dna trovato sul corpo di Lidia Macchi: a questo punto tanti di questi dubbi sarebbero potuti essere fugati in breve tempo.