Papa Francesco ha scelto Padre Arturo Sosa, primo generale dei Gesuiti non europeo, proprio per perseguire la sua missione di andare alle periferie del mondo e dell’uomo. Il nuovo generalato è stato “partorito” 9 mesi fa con la nomina a sorpresa di Padre Sosa, venezuelano e con una vita lontana da Roma, esattamente quello che voleva Papa Bergoglio per rilanciare la “sua” Compagnia di Gesù, a cui appunto il Pontefice deve la sua vita religiosa e la sua conversione. Con una intervista esclusiva rilasciata all’Osservatore Romano, il nuovo capo dei gesuiti spiega come oggi viene gestita l’intera ed immensa eredità lasciata dal Santo fondatore Ignazio di Loyola, di cui oggi 31 luglio la Chiesa celebra l’anniversario della sua salita in cielo. «Le decisioni da prendere non sono poche non possono aspettare: insieme ai tredici consiglieri generali che ogni settimana incontro regolarmente uno a uno, quando non siamo impediti dai rispettivi viaggi, mentre il martedì e il giovedì si riunisce tutto il consiglio», spiega Sosa nell’intervista ai colleghi del quotidiano vaticano. Non solo però, la Compagnia di Gesù tre volte l’anno (gennaio, giugno e settembre) tiene un’intera settimana un incontro allargato ai presidenti delle sei conferenze provinciali e a quattro segretari, in tutto ventiquattro persone. Secondo Sosa, che raccoglie l’eredità dei suoi predecessori alla guida della Compagnia, «l’intento è quello di capire appunto le scelte da fare, perché per la Compagnia di Gesù, e dunque per tutti i gesuiti, è fondamentale e necessario essere creativamente fedeli alla propria vocazione e alla missione. Guardando a sant’Ignazio, dobbiamo di continuo percorrere il cammino del ritorno alle nostre fonti originali. Questo ha voluto il concilio Vaticano ii, e questa decisione è stata la salvezza per la vita religiosa, che nella visione cattolica è un’ispirazione dello Spirito».
ARTURO SOSA, IL NUOVO CAPO DEI GESUITI: LA MISSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
FEDELTÀ E CONVERSIONE
Una fedeltà e una continua ricerca di conversione sono i punti chiave dell’esperienza dei Gesuiti, come il mondo ha di nuovo “imparato” durante questo Pontificato del Santo Padre Francesco: «Guardiamo all’esperienza dei primi dieci gesuiti, quando Ignazio e i suoi compagni erano a Venezia per andare in Terrasanta. Il progetto si rivelò impossibile e si trasformò nel viaggio a Roma, decisivo per la Compagnia» racconta un entusiasta padre Sosa, spiegando come l’intera storia della Compagnia di Gesù non si affatto incline ad errori e storture. Con l’impegno fisso però di ritornare sempre all’origine, al centro della fede, come unica possibilità di poter convertirsi per davvero. «L’unione della mente e del cuore, la pratica di una vita austera, la vicinanza affettiva ed effettiva ai poveri, il discernimento comune e la disponibilità alle esigenze di tutta la Chiesa individuate ed espresse dal Papa»: questi i punti chiave introdotti e insegnati da Sant’Ignazio fino ad oggi.
LA “VERA” MISSIONE DEI GESUITI
Secondo Padre Sosa infine, la “vera” missione della Compagna di Gesù deve divenire una sorta di costante pratica di riconciliazione, a tre livelli: «con Dio, con gli esseri umani, con l’ambiente». Con Dio e con l’uomo, perché «diveniamo collaboratori della missione di Cristo, ragione d’essere della Chiesa di cui siamo parte. E proprio l’esperienza di Dio ci restituisce la libertà interiore e ci porta a rivolgere lo sguardo a chi è crocifisso in questo mondo, per capire meglio le cause dell’ingiustizia e contribuire a elaborare modelli alternativi al sistema che oggi produce povertà, disuguaglianza». Per l’ambiente invece, come ha preso molto sul serio lo stesso pontificato di Francesco, per acquisire una relazione equilibrata con la natura in modo da non mettere più a rischio la vita sul pianeta. Per fare tutto questo però, sottolinea ancora il sacerdote venezuelano, bisogna puntare tutto sulla «capacità di dialogo, tra le culture e tra le religioni». In questo modo, secondo l’ultimo importante “nota bene” rilanciato da Padre Sosa nella ricca intervista all’Osservatore Romano, è necessario e fondamentale che alla base di questa riconciliazione vi sia una autentica conversione: «personale, comunitaria “per la dispersione”, ad dispersionem, un termine che significa la necessità apostolica della missione, e istituzionale, per riorganizzare le nostre strutture di lavoro e di governo rivolte appunto alla missione. Che è propria di quanti si sentono chiamati a essere compagni di Gesù».