Al dilagare dell’arcinoto testamento biologico tra i titoli di giornali, mi viene da consigliare la lettura di un testo appena tradotto in italiano, di uno dei consiglieri giuridici di Barack Obama: “Il diritto della paura” (Ed Il Mulino). L’autore è Cass R Sunstein e sostiene una tesi ben nota agli economisti: l’essere umano è un essere colmo di paure, ma così colmo che se il vento dei giornali porta da una parte, se ne frega delle probabilità reali che un avvenimento avvenga e si getta in un’impari lotta per evitarlo.
E’ un concetto ben conosciuto agli economisti, sul quale si basa la tendenza individuale al rischio, e la paura verso la perdita. Cosa c’entra un libro di sociologia con il testamento biologico? Semplice: l’evidenza che siamo dominati da un terrorismo mediatico per il quale anche un evento rarissimo a verificarsi – come il restare in coma incoscienti e intubati – determina una corsa affannosa ai ripari.
Il libro suddetto ci mostra come non dalla razionalità, ma dall’ansia siamo determinati nelle scelte etiche e che quest’ansia può essere manovrata. Ad esempio col fenomeno del “probability neglect”, secondo il quale il cittadino medio si disinteressa delle statistiche, quando i titoli dei giornali sono abbastanza grossi da mettere abbastanza paura. Ben sanno gli economisti che un cittadino, davanti alla possibilità di guadagnare 100 o di perdere 100, spende 10 per cercare il guadagno, ma spende 50 per garantirsi dalla perdita… pur essendo la somma (che si perderebbe o che si guadagnerebbe) sempre la stessa: 100.
“Trascurare il livello di probabilità è un problema serio, perché induce a individuare priorità mal riposte”, spiega Sunstein. E affonda l’attacco spiegando che sottovalutare o sovrastimare i rischi è contagioso: dipende con chi si parla e cosa si legge.
E fa un esempio che sembra parlare proprio del nostro testamento biologico: “Quando il ricordo di un particolare incidente è a portata di mano, nel senso che ci balza alla mente, la gente tende a preoccuparsi molto più di quanto dovrebbe. Può così accadere che le precauzioni più stringenti vengano prese nei confronti dei rischi più a portata di mano”. E quanto sono “a portata di mano”, cioè ripetute e martellanti le immagini dell’eutanasia, ripetute e commentate e magnificate sui media, tanto da far pensare che l’unico problema della vita è di non farsela prolungare?
E c’è gente seriamente in ansia per questo! Tanto da correre a fare testamenti, disposizioni anticipate, richieste notarili di non rianimazione; certi, evidentemente, che o gli eredi o i medici li vogliano fregare quando non potranno più sentire e agire. Come se, oltretutto, sia davvero alta la possibilità di finire in coma e che arrivi un pazzo che vi prolunga la vita all’infinito: non si vede allora perché non fare tutti un’assicurazione conto i danni della grandine sul nostro motorino o contro la possibilità di essere sbranati da un cane, dato che le possibilità sono numericamente simili a quelle di finire in coma.
Un po’ di realismo e meno terrorismo ci farebbe piacere. Non possono continuare a far gioco sulle nostre paure e punti deboli, che invece di migliorare si incancreniscono e generano comportamenti paradossali quali la corsa ai ripari da rischi inesistenti, patetica figlia di una cultura che non genera speranza.