Il momento che si vive, non solo a Milano ma in tutta Italia, relativamente alla vicenda della costruzione di nuove moschee è delicato. Ma, si badi bene, il problema centrale non è la moschea a Milano o in qualsiasi altro posto, bensì la modalità con la quale la si chiede e con la quale poi la si gestirà. È evidente che una moschea debba stare nella nostra società secondo le regole che ne governano l’andamento e la convivenza, perché qui è il nodo decisivo.
Sì, perché mentre apprendo dalle agenzie che domani il Comitato musulmani per Pisapia manifesterà a Milano, mi vien da pensare che nessuno ha ben chiaro quale sia realmente il problema; l’Islam radicale fa di tutto per avanzare richieste e usa benissimo lo strumento della politica, come chi governerà presto l’Egitto ha insegnato a fare. La cosa più preoccupante è che spesso riesce a ottenere quello che vuole.
L’Islam moderato, che invece parla chiaramente tramite le sedi istituzionali, molto più frequentemente rimane con un pugno di sabbia in mano. Sebbene le sue richieste siano sensibilmente differenti. Tutti possono manifestare, per Pisapia, per la Moratti o per chiunque altro, ma occorre riflettere che sul limitare dei momenti elettorali, parte inesorabile la richiesta della moschea. È un classico dell’ultimo decennio, in cui le moschee “fai da te” saltano fuori come le aiuole in un parco, specialmente dopo le amministrative.
Oggi la marcia a Milano, ieri l’occupazione indebita di piazza Venezia da parte della comunità cingalese che chiede la moschea, mentre nella capitale c’è la più grande moschea d’Europa, semivuota. C’è piazza e piazza, dico io, e nessuno mi distoglierà dalla convinzione che non si apre una moschea senza le opportune garanzie e i dovuti controlli su chi la gestirà. E questo lo può fare solo la Consulta per l’Islam presso il Viminale, composta da varie comunità islamiche in Italia, che è poi l’unico organo consultivo e di controllo che i moderati riconoscono.
Posso parlare di Milano, perché nel periodo elettorale fa più gioco e perché Pisapia ne ha fatto, secondo me inopportunamente, un cavallo di battaglia; parlo di inopportuna scelta perché non si rende conto che il problema dell’ingestibilità di quelle persone, poi, gli esploderà in mano. Ma potrei parlare anche della vicenda di Firenze, in cui la moschea di Colle Val d’Elsa è una incompiuta cattedrale nel deserto e oggi invece l’Ucoii chiede per sé la costruzione di un mega luogo di culto proprio a Firenze. Un’associazione che per bocca del suo presidente dice apertamente di rappresentare solo i propri iscritti. Addirittura sta nascendo una federazione dell’Islam marocchino. L’Islam è migliaia di nazionalità, come fa giustamente notare Gamal Bouchaib, presidente dei Musulmani moderati.
Ma allora di che parliamo? Di un sistema etnico delle moschee? O di un buonismo elettorale o di semplice, ma non meno pericoloso, lassismo? Comunque lo si voglia definire, è evidente che al centro del dibattito ci sono le regole e la possibilità per tutti di accedere alle opportunià. Non mi sfugge che spesso per dare troppi diritti si sfocia nell’impossibilità di farli rispettare e proprio su questo la battaglia continua senza sosta.
Dietro alla richiesta di una moschea ci deve essere un nome, un cognome e soprattutto una comunità che chiede con voce unita e moderata il suo diritto al culto. Non vaghe associazioni che domani lasciano il campo a chi vuole impadronirsi dell’Islam italiano per farne una filiale del radicalismo internazionale, che nulla ha a che vedere con la religione.