E adesso parliamo di vino, alla vigilia del più straordinario appuntamento che ogni appassionato che si rispetti attende: il Vinitaly a Verona. L’apertura è fissata per domenica, che sarà il giorno del pubblico, poi tre giorni più rilassati, fra i padiglioni delle regioni e gli stand dei singolo produttori. Ieri sera, a cena con il collega della Stampa Sergio Miravalle, ci siamo raccontati i nostri Vinitaly, dal 1986 ad oggi: 26 anni.
E ogni Vinitaly è stato diverso: c’è quello dove sei un cronista del vino, quello dove fai il degustatore, quello dove fai lo spettatore. Il mio Vinitaly cade in un momento particolare: devo partorire, insieme con l’amico Marco Gatti, il terzo libro della serie L’Ascolto del vino, che sarà un aggiornamento corposo delle due edizioni precedenti, con tutte le nostre 1.000 cantine premiate in questi anni. Ma sarà anche un momento riflessivo, intimo, su cosa è il vino, materia viva che il mio amico Tony Hendra, scrittore americano, paragona ad un parto, perché il mosto è insieme distruzione e bellezza. Ma anche la vite – se ben ci pensiamo – ha lo stesso tempo della vita, quasi la medesima curva. E quando si pianta una vite di certo trapassa la vita, prima di coglierne i frutti nella pienezza della sua forza.
Dunque la vite è una speranza, un ponte verso il futuro. Questo mi viene da pensare davanti alla notizia che Roberto De Silva, marito di Diana Bracco, è morto. Esattamente un anno fa eravamo insieme, a pranzo alla Torre di Casale di Monferrato. Avevo apprezzato – proprio a Vinitaly – i suoi vini, e lui mi voleva conoscere. Faceva la Barbera a Nizza Monferrato (azienda Il Botolo) e si era iscritto ai Coltivatori Diretti, aveva fatto i corsi alla Camera di Commercio per il “patentino” da vignaiolo e la cosa lo divertiva moltissimo.
Davanti agli agnolotti s’era aperto, raccontando la vita, gli aneddoti più curiosi, facendo uscire tutta la sua simpatia. Il mondo del vino è così: anche l’altro giorno, a pranzo con Giancarlo Aneri e il collega Francesco Rigatelli, abbiamo goduto del vino, del cibo e del piacere del racconto, come di quando conobbe Enzo Ferrari, e poi Indro Montanelli, Enzo Biagi e Giorgio Bocca che fondarono il premio E’ Giornalismo, che si celebra proprio domani (Claudio Magris il designato).
Dentro al vino, che fa dei racconti se lo sai ascoltare, si cela un mondo. Come quando mi iscrissi al corso per sommelier, nel 1984, solo per capire di cosa si stava parlando, visto che il titolo della mia tesi in statistica economica, poi discussa col professor Miglio, era proprio sul mercato del vino. E mi si aprì un mondo che non immaginavo, e che già Michelino Chiarlo di Calamandrana, sommo produttore di Barbera, m’aveva fatto percepire durante un passaggio casuale in autostop, l’anno prima. Oggi mio figlio s’è iscritto anche lui al corso dell’A.I.S. E la cosa mi ha fatto piacere, ma tutto ciò che imparerà sarà solo il frutto della sua verifica personale: io c’entro poco.
Per dirvi cos’è questo mondo del vino, vorrei che foste stati con me ieri sera dalla Violetta, al secolo Maria Lovisolo, 50 anni in cucina, in questa trattoria di campagna struggente, dove fa una faraona superba accanto ai suoi piatti simbolo come l’aspic di verdure e la finanziera. Mi ha voluto accanto a sé a tavola, davanti ai suoi colleghi ristoratori, ai giornalisti, ai produttori vino che hanno voluto manifestarle affetto e fare festa. Violetta, come il profumo di una primavera che inizia oggi, Violetta, come quello della Barbera che avevo di fronte, che nasce in un paese a me caro, che confina col mio, Incisa Scapaccino. Lo producono alle Cantine Brema, ed era maestoso. Ci saranno anche loro a Vinitaly, Ermanno e Alessandra Brema e il loro figliolo, biondo, sorridente, educato, che era con noi con la sua fidanzata, nel segno della vita che rincorre la vite e viceversa. Quasi come un Mistero.