Un formicaio. Avete presente un formicaio. Tante piccole formiche in fila, ognuno con la sua briciola di pane da portare nella dispensa. Il campo della Caritas, accanto alla chiesa parrocchiale di Pettino, un quartiere periferico (oggi si dice residenziale) dell’Aquila, sembrava un formicaio. Tutte persone vestite con abiti arrangiati, tute, scarpe da ginnastica, a volte qualche taglia in più. Tutta gente che è fuori casa, che vive grazie agli aiuti. Non più solo famiglie povere, che a fatica arrivano a fine mese. Tanta gente che con il terremoto ha perso molto, a cominciare dalla casa. Tutti in fila per prendere il detersivo, un sapone, lo spazzolino da denti, la carta igienica. Poi un’altra fila, pasta, pelati, tonno, carne in scatola, barattoli vari.
C’è anche chi si lamenta. Un pacco di penne quando si desideravano gli spaghetti. Poi quello dietro che invece riporta alla realtà. Lui non ha il gas e quindi si deve accontentare di scatolette varie. Le penne le gradirebbe molto, anche se non hanno la forma degli spaghetti, si accontenta del tonno. Piccoli grandi problemi quotidiani. Fortuna che di roba ce n’è tanta, per tutti. Qualsiasi richiesta viene soddisfatta, anche quella di un bambino che ha chiesto i colori per disegnare.
Tanta solidarietà, ma in mezzo a questa gente si tocca con mano l’estremo bisogno. Ho fatto anche pensieri cattivi. Hanno riaperto diversi supermercati, anche quelli cosiddetti a basso prezzo. Mi sono chiesto perché gente che non è povera non torna a comprare, a far girare l’economia, come si usa dire di questi tempi. E’ un volontario, Raffaele, a farmi notare che sono molti quelli che il lavoro l’hanno perso, quelli che non hanno ancora ricominciato. E poi cresce un senso di impotenza. Raffaele mi racconta che non è facile mettersi in fila e “chiedere”. Una sorta di elemosina. Un passaggio difficile, dice, soprattutto se fino a poco tempo prima ti permettevi il superfluo.
Un’altra lezione di vita. Un altro forte richiamo ad avere uno sguardo più attento alla realtà. Ti cascano addosso come mattoni in testa, più forti del terremoto. Scossoni alla tua vita. Io torno a casa e mangio, scegliendo tra penne e spaghetti. E non penso a chi soffre, a chi ha scoperto all’improvviso di essere “povero”.
Oggi altre scosse, dopo un paio di giorni in cui ci eravamo quasi riabituati alla normalità. 3.8 Richter, quanto basta per far riemergere in tanta gente l’incubo della notte del 6 aprile. Piccole scosse che portano tante persone a non voler rientrare nelle proprie abitazioni, nonostante che il 57% di quelle dove sono stati effettuati i sopralluoghi sono state dichiarate agibili. Io torno a casa, stasera gli spaghetti avranno un sapore diverso. Più umano.
(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)