È ancora polemica negli Usa su bagni e transgender. Dopo la circolare dell’amministrazione Obama del 13 maggio sull’accesso degli studenti omosessuali e transgender nei bagni delle scuole, undici Stati, capeggiati dal Texas, denunciano le linee guida del governo centrale colpevoli di calpestare la costituzione, il senso comune e di trasformare “luoghi di lavoro e di studio in un gigantesco laboratorio sociale”.
Messo in cassaforte il matrimonio gay, dato ormai per acquisito a prescindere dalle resistenze dei singoli Stati, l’elettorato americano si trova ora a confrontarsi con la tematica transgender. Una tematica estremamente di nicchia che le moderne leggi della rappresentazione della società da parte dei media fanno schizzare in cima alle classifiche degli argomenti di pubblico interesse. A una delle notizie che hanno fatto il giro del mondo in poche ore, ha dato il la Ted Cruz. Il senatore del Texas ha cercato di mettere in imbarazzo Donald Trump al cospetto dell’elettorato conservatore, chiamandolo a pronunciarsi sulle recenti leggi del North Carolina, che obbligano le persone transgender a utilizzare i bagni corrispondenti al sesso registrato all’anagrafe. Cruz ha sostenuto che “se anche Trump si vestisse da Hillary Clinton, non potrebbe comunque utilizzare i bagni delle donne”. Ne è venuto fuori un assist per lo stesso Trump, che si è guadagnato le simpatie degli avversari, commentando che “tutti dovrebbero poter usare i bagni dove si sentono maggiormente a proprio agio”. Così Caitlyn Jenner, notissima trans newyorkese — nonché padre della modella Kendall Jenner — ha subito messo alla prova la credibilità del candidato repubblicano, recandosi al Trump International Hotel di New York, il prestigioso hotel che affaccia su Central Park, per utilizzarne i bagni delle donne e postare, contestualmente, un video divenuto virale sui social.
Oltre alla divaricazione tra rappresentanza sociale e rappresentazione sociale nei media, già messa in evidenza da Roland Barthes alla fine degli anni sessanta, si pone — a proposito dei quesiti su bagni e transgender — un nuovo problema semantico relativo alla simbologia e alla cartellonistica da utilizzare. Basti pensare che nei tre musei più importanti di New York la simbologia utilizzata è completamente diversa.
Se vorrete fare una sosta al restroom del Met (Metropolitan Museum Of Art) troverete la tradizionale divisione Woman e Man accompagnata dalle classiche icone maschili e femminili. Al Guggenheim l’iconografia tradizionale è conservata, ma la dicitura riporta la parola: Unisex, con la sola precisazione: Single Occupancy . Al Withney, decisamente il più post-modernamente orientato dei tre musei, hanno voltato decisamente pagina, lasciando sex in favore di gender. Sulla cartellonistica compare solo la scritta: All Gender Restroom, senza alcuna immagine.
Era dal 1917, quando Marcel Duchamp concepì proprio a New York l’opera ready-made Fontana, che non si faceva un così gran parlare di bagni pubblici. Fontana è un orinatoio in ceramica bianca di fattura industriale che l’artista installò in orizzontale, apponendovi come firma lo pseudonimo R. Mutt.
Pagando sei dollari si era assicurato che l’opera fosse esposta alla Society Of Independent Artists, ma fu dimenticata dagli allestitori. L’originale andò perduto e Duchamp ne autorizzò successivamente diverse riproduzioni. Oggi Fontana è considerata la maggiore opera dell’arte concettuale e il suo valore è di alcuni milioni di dollari. Fontana è un orinatoio maschile e tale restò anche firmato e installato in orizzontale, anziché in verticale. Neppure Duchamp si sognò che potesse essere anche femminile.
Dal sito dell’Huffington Post Marco Palillo ha criticato la posizione della destra americana su bagni pubblici, cartellonistica e transgender dalla prospettiva dei difensori dei nuovi diritti. Per il blogger italiano, che scrive da Londra, la cartellonistica ideale dovrebbe riportare solo la dicitura: Inclusive Restroom, e il valore di riferimento di questa scelta è, appunto, l’inclusività delle differenze. Una provocazione che a volerla prendere sul serio potrebbe smuovere da un secolare immobilismo anche i sostenitori delle posizioni conservatrici, che avvallano, consapevolmente o meno, quella sorta di apartheid dei sessi che si è declinato storicamente nei matronei, nei ginecei, negli harem. O nella rigida divisione tra istituzioni educative su base sessuale, che conoscono oggi una nuova fioritura come nel caso del revival — soprattutto anglosassone, ma se ne dibatte anche in Italia — del ritorno alla divisione delle classi scolastiche in maschili e femminili.
Ha scritto di recente Giacomo Contri nel suo blog Think! che “La singolarità umana comporta che l’accento non è sui sessi, ma sul pensiero ossia sulla differenza dei sessi: questa è identica nei due sessi, ed è su essa che gli umani prendono posizione, senza presupporre matronei o ginecei. Etero- o omo-, di mezzo c’è stato il pensiero”.
Palillo dal suo pulpito londinese per la difesa dei diritti conclude il suo articolo osservando che “dalle persone transgender potremmo imparare tutti — etero o gay, credenti o laici — ad essere più autentici e meno ideologici”, dal momento “che una (persona) è tanto più autentica quanto più somiglia all’idea che ha pensato di se stessa”.
Eccoci di nuovo al pensiero e all’idea-le (dell’io) — per definizione irraggiungibile — che esso costruisce. Forse è in questa direzione — e non solo alla luce dell’ipotesi di esclusione sociale: bagni compresi — che andrebbe indagato il dato statistico, che giustamente preoccupa Polillo, relativo all’alto numero di suicidi tra le persone transgender rispetto alla popolazione generale.
È il modo in cui si pensa la differenza sessuale, con fiducia o con timore, che fa la differenza tra inclusione e esclusione, a partire dal non escludere, sulla base delle pretese di un ideale, l’apprezzamento per il corpo che è toccato in sorte.