Il caso dell’ Ilva di Taranto ha varcato i confini nazionali. Abbondantemente, si direbbe. E’ infatti approdato in Olanda, per la precisione, sulla scrivania del procuratore del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Il Comitato “Taranto Futura”, così come annunciato nel luglio scorso, ha infatti presentato una denuncia al TPI per chiedere l’apertura di un’inchiesta nei confronti della classe dirigente tarantina, regionale e nazionale, in concorso con i vertici dell’Ilva, per la violazione degli articoli 5, 6 e 7 relativi ai reati di genocidio e crimini contro l’umanità, in relazione all’inquinamento prodotto dallo stabilimento e ai mancati controlli da parte delle istituzioni. Promotore dell’esposto e già coordinatore del comitato, l’avvocato Nicola Russo, raggiunto da IlSussidiario.net, che ora attende la notizia dell’avvio dell’azione penale dal parte del TPI.
Avvocato Russo, su quale base avete deciso di presentare questo esposto contro Ilva?
Sulle perizie depositate al Tribunale di Taranto in cui si dice che dallo stabilimento vengono emesse in atmosfera sostanze come diossine e Pcb, pericolose per i lavoratori e la popolazione. Con questo, è stato quindi accertato il nesso causale fra l’inquinamento dell’Ilva e le malattie riscontrate sulla popolazione. sulla base di questi dati, abbiamo chiesto al procuratore internazionale di perseguire i responsabili dell’inquinamento. Non solo, abbiamo chiesto una condanna anche per tutte le autorità civili e militari che hanno omesso i controlli necessari. La violazione è relativa agli articoli 5, 6 e 7 dello Statuto di Roma, stipulato nel 1998, per i reati di genocidio e crimini contro l’umanità, in questo caso la popolazione tarantina, vittima di sofferenze fisiche e psichiche.
La Corte Penale Internazionale solitamente giudica personaggi come Mladic o Karadzic, responsabili di genocidi nella ex Jugoslavia o l’ex dittatore liberiano Charles Taylor. Avete notizia o avete preso spunto da un esposto simile al vostro?
Penso sia la prima volta perché solitamente il TPI si occupa di differenti tipi di crimini. In ogni caso, il Comitato “Taranto Futura” pensa che anche verso i tarantini sia stato perpetrato un crimine: un gravissimo inquinamento ambientale che la città di Taranto subisce da cinquant’anni.
Quindi, qual è il vostro obiettivo?
Per i reati da noi contestati sono previste pene da 30 anni sino all’ergastolo.
Una volta puniti i responsabili, cosa sperate che avvenga agli impianti?
Le relazioni dei periti depositate in tribunale escludono in qualsiasi modo l’eco-compatibilità per la vicinanza degli impianti ai quartieri abitati. Se l’esposto venisse accolto, Ilva sarebbe costretta a chiudere.
E le migliaia di posti di lavoro che verrebbero persi? Un danno enorme per l’economia non solo tarantina.
Noi vorremmo che si attuasse una riconversione dell’intera area anche per tutelare tutti i posti di lavoro. Non a caso, abbiamo proposto un referendum che ha visto molte peripezie in diversi tribunali amministrativi.
Cioè?
Come Comitato “Taranto Futura” abbiamo proposto da tempo un referendum sulla totale o parziale, con lo stop dell’area a caldo, chiusura dello stabilimento. Il sindaco di Taranto, Ezio Stafano, dopo varie cause vinte dal nostro comitato presso la Procura di Lecce, è stato costretto ad indire il referendum. Prima, però che venisse indetto è stato, immediatamente, impugnato dall’Ilva, da Confindustria, da Cgil e Cisl. A novembre dello scorso anno, il Tar di Lecce, in primo grado, aveva dato ragione alle controparti ma noi abbiamo appellato la sentenza e, alla fine, siamo riusciti ad aver ragione. Subito dopo, è partita una diffida per il sindaco ma, a distanza di quasi un anno, Stafano non ha ancora indetto alcun referendum. Ora, l’ultima mossa è stata denunciarlo per omissioni in atti d’ufficio.
Lei prima parlava di riconversione dell’area. Con quali modalità e chi se ne farebbe carico?
Prima di tutto, gli stabilimenti andrebbero interamente smantellati e dovrebbero partire le relative bonifiche delle aree per permettere l’istallazione di impianti eco-compatibili: non sta scritto da nessuna parte che a Taranto si debba produrre l’acciaio. E’ chiaro che sarebbe il Governo, con un contributo dell’Unione europea, a doversi far carico di questa operazione.
Quindi, in ogni caso, Ilva deve lasciare il territorio?
Se l’azienda decide di pentirsi e procede alla totale riconversione industriale, ben venga.
Come giudica la gestione del caso Ilva da parte dei vari attori in causa?
E’ stato gestito malissimo. Il Governo e le autorità locali, non solo ora, ma anche negli anni passati, hanno sacrificato la tutela della salute della popolazione alla produzione e al pil. E’ giunto il momento di “de-pilarci” e pensare alla nostra salute.