Strano destino quello della Legge 40, colpita da una sorta di accanimento giudiziario che sta cercando di smontarla pezzo per pezzo, come se rappresentasse l’ostacolo più grosso per la realizzazione della felicità coniugale e familiare.
Eppure gli obiettivi della legge sono semplici e chiari: è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita (PMA), che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, allo scopo di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana.
Il ricorso alla PMA è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità. Detto in altre parole, la procreazione medicalmente assistita si pone come una alternativa terapeutica alla sterilità e all’infertilità con l’impegno a tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti: madre, padre e figlio.
Con l’ultima sentenza, il Tribunale di Milano ha rilevato nel divieto all’eterologa un ostacolo che non permette di garantire la realizzazione della vita familiare. È la terza volta che il divieto sulla fecondazione eterologa viene rimandato alla Consulta per averne una valutazione che in definitiva lo dichiari incostituzionale. Nel quesito, come sempre accade c’è una parte che esprime un valore generalmente condivisibile – garantire la realizzazione della vita familiare – e una fallacia logica che in realtà stravolge non solo l’impianto della legge, ma lo stesso valore che in teoria si vorrebbe difendere.
Non c’è dubbio, infatti, che questa legge costituisca – sia pure involontariamente- una vera e propria dichiarazione dei diritti essenziali dell’uomo: il diritto alla vita e il diritto alla famiglia. E questi due diritti sono da lungo tempo nell’occhio del ciclone di una cultura caratterizzata non solo da un profondo relativismo etico, ma soprattutto dal capovolgimento della prospettiva antropologica. In questo caso, mentre si pretende di garantire la realizzazione della vita familiare, si introduce una prospettiva che altera la natura dei rapporti tra padre-madre-figlio, perché il figlio viene a essere figlio di un genitore biologico, estraneo alla vita di famiglia che si intende tutelare.
Nella fecondazione eterologa, la scelta di introdurre in modo artificiale un soggetto terzo rispetto alla dinamica familiare implica un sovvertimento dei vincoli affettivi che caratterizzano il rapporto di coppia. Il presunto diritto al figlio diventa una sorta di grimaldello che scardina la naturale relazione di questa donna con questo uomo, per cui crea una nuova e artificiale relazione con un soggetto che si pone come padre reale, ma destinato a un anonimato affettivo ed emotivo.
Questo figlio sarà con tutta probabilità figlio di questa madre e di un padre altro, di cui successivamente qualcuno prenderà il posto, non perché il bambino sia rimasto orfano e sia stato abbandonato, ma perché intenzionalmente qualcuno ha decretato la “morte” affettiva del padre, destinandolo a una concreta forma di abbandono. Da un punto di vista simbolico si è capovolta un’antica condizione per cui il padre abbandonava il figlio, trasformandola in una nuova situazione in cui il figlio abbandona il padre, non appena è stato concepito. Una sorta di “usa e getta” rivolta al maschio considerato esclusivamente come fornitore di spermatozoi. Un utilitarismo che non ha nulla di quella ricchezza di affetti familiari che pure dovrebbe “garantire la realizzazione della vita familiare”. Tutti i ruoli sono invertiti ed è abbastanza facile immaginare come da questo punto di partenza si possa poi arrivare allo sfilacciamento di tutti gli altri legami affettivi.
L’eterologa in una prassi antica non era altro che il segno e il simbolo di “un tradimento” in cui il concepito era figlio di un altro e come tale andava incontro a una serie di difficoltà e di disagi in cui la componente affettiva ed emotiva si intrecciava spesso anche con quella economica ed ereditaria. La moderna tecnologia diagnostica ha più volte permesso disconoscimenti o riconoscimenti di figli nati al di fuori del vincolo coniugale, riconoscendo un valore strutturale al rapporto naturale tra madre e padre e tra figlio e relativi genitori. Figlio naturale e figlio adottivo possono vantare gli stessi diritti rispetto a molteplici parametri, ma resteranno pur sempre diversi, proprio sotto il profilo naturale, in cui la componente biologica appare essenziale.
Oggi la tecnologia permette di correggere numerosi errori che possono darsi in natura, facilita processi che altrimenti non potrebbero giungere a buon fine, funge da catalizzatore in situazioni ad alta complessità, ma non potrà mai alterare la dialettica naturale che vede un figlio come frutto di un rapporto tra una donna e un uomo, che sono a buon diritto genitori di questo figlio. L’evoluzione tecnologica che proprio nel campo della procreazione sembra permettere dei livelli di complessità inimmaginabili fino a pochi anni fa non può modificare la consapevolezza che ogni figlio è figlio di una madre e di un padre, che lasciano nel suo organismo, cellula per cellula le tracce della loro identità, sempre rintracciabili in tutto l’arco della vita e in ogni cellula del suo organismo.
E la politica non può non interrogarsi su questi nuovi modelli tecnologici che alla luce di un’antropologia capovolta tentano di stravolgere la naturale percezione della paternità e della maternità. Ogni figlio ha diritto a sapere chi è suo padre, anche per gli eventuali problemi di salute che potrebbero insorgere nella sua vita; ma ha diritto a saperlo anche alla luce della sua relazione personale con il presunto genitore con cui il rapporto potrebbe non essere dei migliori, proprio alla luce di quella scelta originaria che rende il padre “veramente” padre e il figlio “veramente” figlio.
È questo uno dei paradossi che si sono creati nella legislazione austriaca, nei cui confronti il prossimo 23 febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo sarà chiamata a pronunciarsi in via definitiva sulla conformità alla Convenzione dei diritti dell’uomo. La disciplina austriaca, infatti, mentre pone un divieto analogo a quello italiano alla procreazione assistita di tipo eterologo permette l’inseminazione artificiale di tipo eterologo. Un pastrocchio giuridico che vede alla sua base la difficoltà a ricostruire correttamente la mappa delle relazioni familiari proprio a garanzia di una piena realizzazione della vita familiare.
Il punto in cui bio-giuridica e bio-etica intercettano la bio-politica è proprio nell’assoluta necessità con cui oggi la politica deve prendere una posizione chiara rispetto alla famiglia: alla sua identità e alle problematiche collegate con la sua realizzazione e il suo sviluppo. Anche la libertà individuale deve trovare i suoi parametri di riferimento in una logica di tipo relazionale che prende atto della premessa antropologica per cui l’uomo è un essere per l’altro e con l’altro, anche perché è un essere che nasce dall’altro.
Il rapporto tra vita e libertà appare nella logica dei contestatori del divieto dell’eterologa del tutto stravolto, per cui invece di considerare la libertà un attributo della vita (sono libero perché sono vivo) si finisce col considerare la vita un’appendice della libertà (sono libero di vivere o di non-vivere).
L’accanimento con cui alcuni, sempre gli stessi per la verità, sempre con la stessa matrice culturale e sempre con la stessa appartenenza associativa, stanno distruggendo la legge 40, non ha nulla a che vedere con il desiderio di garantire la piena realizzazione della vita familiare, ma piuttosto con il suo contrario; con l’impegno ostinato a smontarne l’impianto, vanificando la tenuta dei legami familiari e riconducendoli in una sorta di anonimato affettivo, per cui ai due genitori originari è possibile sostituire qualsiasi altro surrogato tecnologico in un’avventura virtuale in cui niente è come sembra.
L’obiettivo che i detrattori della legge 40 si pongono è proprio quello di sfidare la politica ad abbandonare le sue incertezze e le sue titubanze per definire il chi è della famiglia, con la sua mission specifica, che la vede contestualmente impegnata nel dare la vita e nel custodirla fino alla sia naturale conclusione. Difendere la legge 40 sta diventando uno dei modi concreti per difendere contestualmente vita e famiglia, preservando l’una e l’altra dai ripetuti assalti che nascono da una visione individualistica dell’uomo, che svaluta i diversi tipi di legame, a cominciare da quelli familiari, considerandoli come un mero ostacolo alla realizzazione di sé.
La fecondazione artificiale eterologa è una delle tante picconate alla famiglia che si riveste di buonismo e di familismo, ma anche in questo caso non riesce a nascondere quale sia il suo punto di approdo: la legge 40 apre alle coppie di fatto (se provviste di determinati requisiti di stabilità), ma è proprio il vincolo dell’eterologa che non consente attualmente la fecondazione nelle coppie omosessuali.
Ammettere la fecondazione eterologa potrebbe essere l’inizio di un processo che la legge italiana non prevede e quindi un modo di raggirare non una legge, ma l’intero impianto della nostra Carta costituzionale e del nostro diritto attuale. Per questo ci auguriamo che il No della Consulta sia chiaro, netto e consapevole.