Neila, tunisina di fede islamica, stava tranquillamente prendendo il caffè in un bar di Monterotondo, nei pressi di Roma, con la sorella Nadia. Ad un tratto, un gruppo di giovani, ha iniziato a insultarla. Alla richiesta di spiegazioni, il gruppetto ha reagito con altro insulti, spintonando lei e la sorella e strattonandole il velo: «In Italia non puoi portarlo, vai al paese tuo, kamikaze, fatti saltare in aria». Le due sono state, in seguito, soccorse da carabinieri e vigili e condotte al pronto soccorso. Neila è stata ricoverata e tenuta per 24 ore sotto osservazione. Ora, la vicenda sta venendo esaminata dalla procura di Tivoli. Paolo Sorbi, professore di Sociologia generale presso l’Università europea di Roma spiega a ilSussidiario.net come interpretare l’accaduto. «L’episodio di microcriminalità rappresenta la spia di un fenomeno molto presente, in particolare, non solo tra le bande giovanili, ma anche tra le giovani generazioni. Consiste nell’incomprensione del diverso e nella non accettazione della positività della società multietnica». In questo caso il fenomeno di aggressione ha assunto valenze anti-islamiche. «Ma ci sono stati dei casi, in Europa, ma anche in Italia, di aggressione di stampo anti-cristiano e anti-semita da parte degli islamici», fa presente il professore. «Il problema – aggiunge – è di carattere epocale. Stiamo assistendo al mutamento del carattere demografico dell’Europa che sta iniziando ad essere attraversato ad una gamma di etnie che non sono di origine europea. Si tratta di un problema analogo a quello delle grandi migrazioni negli Stati Uniti».
In ogni caso, sia ben chiaro: «Non si tratta di problemi di religione, ma delle inevitabili conflittualità che vanno gestite secondo i principi di un’irreversibile convivenza multietnica». Che si regola secondo ben determinati criteri: «Occorre un’educazione improntata ai principi dell’inclusione alla cittadinanza repubblicana. Si tratta di un processo selettivo che si deve mettere in moto attraverso una serie di step in cui, attraverso meccanismi di osservazione definiti watching, si valutino elementi quali la buona condotta, i rapporti con il vicinato, la capacità del migrante di farsi carico della tradizione normativa e della cultura del Paese in cui è andato a vivere, sotto il profilo, ad esempio, della lingua o degli stili di vita». In tale processo è necessario attribuire un compito determinante a soggetti specifici: «Occorre che ci sia l’intervento di agenzie del territorio di carattere educativo, di impostazione cristiana o laica, come le scuole, le parrocchie, o i centri culturali, in cui si spieghi, in maniera ragionata, cosa sta accadendo alla composizione socio-culturale dell’Europa».
Per inciso, salvo episodi come quello di Monterotondo, chiaramente deprecabili e segno di una cultura da correggere, «l’Italia, sul versante dell’inclusione di cui sopra, è il Paese più avanzato d’Europa. Smettiamola di pensare che i Paesi nord-europei siano più civili del nostro», afferma Sorbi. «Tanto per cominciare, il popolo italiano è qualitativamente il meno razzista non solo dell’Ue, ma del mondo. Inoltre, benché il rapporto nel tessuto micro-sociale, o la relazionalità territoriale tra residenti ed extracomunitari possa essere polemico, invito i “soloni” dell’anti-italianità ad andare a vedere cosa succede nelle balieue di Parigi, o nei quartieri analoghi di Londra, Stoccolma o Amsterdam».
(Paolo Nessi)