A Capodanno la Chiesa è solita celebrare la Giornata Mondiale per la Pace. Nel suo tradizionale messaggio, il Papa, scegliendo il tema “se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, ha lasciato molti osservatori stupiti. Abbiamo chiesto a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, di commentare il messaggio di Benedetto XVI.
Il Papa parla della necessità di rinnovare e rafforzare “l’alleanza tra essere umano e ambiente”. Che cosa vuol dire per lei?
Si tratta dell’alleanza più importante. Un ambiente che sta male, fa star male anche l’uomo. E l’umanità, in questo momento, ha già abbastanza motivi di sofferenza. Se deve caricarsi anche quella di un ambiente sempre più impoverito, rischia di abitare in una casa inospitale. Su queste tematiche l’ultimo secolo si è caratterizzato per un’accentuazione della depredazione del creato. Al punto tale che molti iniziano a sostenere che siamo al punto di non ritorno per la ricostruzione dell’armonia tra il nostro metabolismo e quello della terra. Chi ha avuto di più dalle risorse ambientali non concepisce che deve fermare la sua avidità; chi ha avuto di meno non tollera che gli siano posti dei limiti. Questo sforzo enorme, di contrazione e convergenza, richiesto a tutti, non riesce a trovare un punto di equilibrio.
Come si esce, secondo lei, dall’impasse?
In questa situazione, la governance internazionale stenta a trovare una via di uscita. Gli unici deputati a svolgere queste riflessioni giungono a esiti sempre più inconcludenti: basti pensare alle Nazioni Unite, alla Fao o al fallimento di Copenaghen. Di fronte a tutto questo – ve lo dice uno che si dichiara agnostico – l’unica voce internazionale che esprime sensibilità, lungimiranza e senso della misura è quella di questo Papa tedesco.
Il pensiero scientifico che domina, interpretando il cosmo secondo schemi casuali e deterministici, ha trasformato l’ambiente in materia per lo sfruttamento. Che ne pensa?
Mai come in questo momento è necessario un dialogo franco tra la scienza ufficiale e i saperi tradizionali, che appartengono storicamente alla comunità e che, in maniera empirica, ne hanno determinato l’approccio alla natura. Se questo dialogo non si implementa, rimangono in piedi solo due ipotesi: quella di pretesa modernità scientifica che supera ogni concetto, o quella di persistenza su valori ancestrali non scientificamente compiuti.
Il papa afferma che la crisi ecologica è legata a quella morale. Quali sono i termini di questa crisi?
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Nella diversità si esprime la più grande forza creatrice dell’universo. In termini vegetali-animali, ne abbiamo perso il 70 per cento. Un dato immenso di cui non cogliamo le tristi conseguenze. La crisi morale è legata alla crisi ecologica attraverso la perdita di diversità, legata a sua volta alla miopia di costruire forme identitarie di chiusura verso gli altri. Ma ogni identità nasce da uno scambio. Vedo in questo l’elemento più preoccupante dal punto di vista culturale rispetto alla difesa dell’ambiente.
Perché?
Perché l’ambiente non è solo il frutto della diversità vegetale o animale, ma anche culturale. Concepire la miseria di un ambiente che va in degrado, vuol dire renderci conto della perdita della memoria di un popolo, degli aspetti culturali, linguistici, spirituali, poetici, perfino musicali. La diversità è una delle grandi componenti dell’uomo e del rapporto con la terra. Mortificarla è la premessa per renderci tutti più sterili.
Che cosa dovrebbe insegnarci, in tal senso, la crisi economica?
Per la prima volta nella storia, abbiamo contestualmente una crisi economica, ambientale ed energetica. Non si capisce se questa crisi sarà passeggera, risolvibile nel breve periodo con le classiche medicine, o se si tratti di una crisi di sistema, curabile con un nuovo approccio che determini un cambiamento profondo di paradigmi, che veda l’umanità impegnata nel costruire un nuovo umanesimo, dove il paradigma del consumo, che ha generato la crisi, non sia determinante per risolverla. Sono convinto che sia necessario che questi paradigmi cambino, a partire dal dio del consumo, alla riduzione di ogni cosa a merce di scambio, fino alla riduzione a commodity dell’ambiente, del cibo e delle persone.
In che modo?
L’unico scritto universale di qualche valore è l’ultima enciclica di Ratzinger. Dove il paradigma dell’economia non è trattato attraverso una primogenitura dell’economia classica rispetto all’economia sociale, ma afferma che il bene comune e l’economia sociale sono parti fondanti dell’economia reale. C’è una parte dell’umanità che ci spiega cos’è l’economia. Ce n’è un’altra che fa economia sociale, non quella classica, ma quella “della misericordia”: sono i “poveracci”, quelli che fanno economia attraverso la carità, snobbati dal mondo.
La natura, per il Papa, va rispettata perché è dono di Dio. Cosa ne pensa di questo approccio?
Sono agnostico. Il che non significa che sono ateo o che non creda in nulla, ma che non ho la forza di credere. È una delle posizioni più scomode ma ne rivendico l’onestà intellettuale. Per il Papa la natura va rispettata perché è creata. Io non posso affermarlo e la penso diversamente, però ho la massima stima di come la pensa Benedetto XVI. Quello che conta è che non possiamo fare violenza alla terra.