Fukushima fa ancora paura? In effetti l’epicentro del nuovo terremoto, di magnitudo 7.4 Richter avvenuto in Giappone alle 5.59 del mattino di martedì 22 novembre, è situato al largo delle coste di Fukushima.
Gli allarmi alla popolazione sulla costa per l’evacuazione preventiva, verso l’entroterra, sono scattati tempestivamente, ma questa volta la breve fuga è stata più che sufficiente o meglio non si è resa necessaria, poiché l’onda di tsunami non ha superato il metro e mezzo. Diverso fu l’evento dell’11 marzo 2011, allorché un sisma del 9 grado creò onde alte oltre 15 metri.
L’attenzione dei media si è subito concentrata sullo stato dei reattori della centrale nucleare, principalmente quella di Fukushima-Daini, ossia la “sorella” della centrale distrutta dallo tsunami del 2011, Daiichi, sita 11 chilometri a nord. Ma il commento è stato generalmente quello di “nessun effetto registrato”, vista la ridotta intensità del sisma e ancor più dello tsunami. Fatta salva una breve interruzione (un’ora e mezza) nel funzionamento delle pompe di raffreddamento del combustibile spento estratto dal reattore dell’Unità 3 e posto in una piscina.
In effetti, oggi, il principale problema nella gestione dei postumi dell’incidente nucleare sta ancora su Fukushima-Daiichi. Si tratta del tentativo di fermare il flusso di acqua di falda che scende dalla collina verso i reattori per poi terminare in mare. Il rischio è che l’acqua sotterranea, penetrando nei locali interrati della centrale, asporti materiale radioattivo e si sversi in mare. Per questo i giapponesi hanno ideato e approntato una sorta di “muro di ghiaccio” esteso oltre 800 metri, tra la collina e l’edificio dei reattori, in modo da deflettere il flusso d’acqua.
La tecnica è presa dall’ingegneria civile, utilizzata in alcuni casi per la perforazione di gallerie per treni e metropolitane: si tratta di inserire grandi e lunghi tubi nel terreno, nei quali far scorrere un fluido refrigerante capace di congelare il terreno stesso, e così anche l’acqua eventualmente presente.
Ad oggi il “muro” non è ancora completo, la parte installata ha iniziato a funzionare assolvendo parzialmente al compito, ma alcuni commentatori ed alcuni tecnici hanno criticato tale soluzione, dicendo che è troppo complessa e non efficace. Ma in realtà è una tecnica ben nota e già utilizzata, anche se non per lo stesso specifico obiettivo per il quale viene impiegata a Fukushima. I prossimi mesi daranno il responso sperimentale definitivo.
In realtà, l’attenzione dei media si è immediatamente focalizzata sui reattori di Fukushima perché non vi era notizia che riguardasse gli edifici e le infrastrutture civili, che hanno tutte sostanzialmente resistito ad un sisma di grado 7.4, fatto salvo un ritardo di un’ora sulla linea ferroviaria superveloce Shinkansen, cosa che probabilmente ha creato il maggior danno alla popolazione di Tokyo e dintorni.
E’ quindi abbastanza naturale paragonare questo evento con quelli accaduti di recente a casa nostra, che hanno causato morte e distruzione in agosto e in ottobre. Ma questi sismi erano “solo” di grado 6.0 e 6.4, quindi ben inferiori all’ultimo giapponese.
Distruzione e morte da noi, nulla in Giappone. Una fin troppo semplice considerazione, che rafforza ancor di più la convinzione che qualcosa debba e possa essere fatto, per mettere in sicurezza le case e le infrastrutture italiane. Non si può che approvare e sostenere lo sforzo del governo di agire in tal senso, con un progetto (“Casa Italia”) sistematico e di ampio respiro, non focalizzato sull’urgenza. La speranza è che questo sforzo e questo progetto vengano mantenuti. Lo sperano e lo meritano gli italiani.