Luciano Manca viveva per quella figlia. Francesca l’aveva vista crescere e deperire per una dipendenza maledetta, che gliel’ha portata via, troppo presto. Impazzito dal dolore, dall’impotenza, perché non puoi salvare un figlio dalla droga, se non lo vuole lui, ha pensato di trovar pace nella vendetta. Si è appostato nei pressi di un campo rom, credeva di aver individuato lo spacciatore, ha sparato. Ha ucciso un ragazzo di diciott’anni: spacciava, ma con la morte della sua bambina non centrava nulla. Ora Luciano, operaio cinquantenne di Brescia, padre disperato, è ancora più sconvolto e solo. Ha persi anche la vicinanza della moglie, ha ferito la sua coscienza con un gesto insano, e non solo perché ha sbagliato bersaglio.
Stupisce allora la baldanza di troppi internauti che commentano su facebook e su siti vari con esultanza, che lo esaltano come un eroe. Non ha la stoffa del vendicatore, Luciano, ma poco importa: grazie a lui, ci sono in giro “un rom e uno spacciatore in meno”, e questo basta. Una spacconeria di cattivo gusto, se si tratta solo di becera provocazione. E non è un invito feroce alla violenza fai da te, come qualcuno auspica, in mancanza di uno stato efficiente. Che idea abbiamo di giustizia?
Se la realtà, la cronaca ci espongono un fatto, non è per inorridire o scandalizzare. Ma per pensare, e non bastano le immagini veloci proposte nei tg o le frasi ad effetto lanciate come pistolettate in rete. Non penso a Luciano, immagino, credo che abbia compiuto un delitto gravissimo, ma con attenuanti. Non per il dolore subito – quanti padri e madri soffrono lo strazio di una morte violenta dei loro figli – ma perché il suo appare un atto di follia, e la depressione, lo stordimento che ora vive ne sembrano la prova.
Forse azzardo l’indicibile, ma possiamo tenere a posto la nostra coscienza anche se certi crimini restano senza pena, quando la pena il colpevole la porta dentro, la mostra, la sopporterà per sempre. Non so se la parola pietà contempla per tutti la grandiosa vittoria sulla debolezza, sulla colpa, la forza, la sicurezza della ragione: perché in ceri casi ci vuole la cura, medica e psicologica e umana, più che la galera. Quanto alle esternazioni razziste degli internauti, non c’è poi tanto da stupirsi.
Qualcuno ricorderà di aver studiato la tragedia greca. La mitologia classica, quella nordica, e i loro molti rifacimenti in cantari e ballate popolari, fino alle fiabe. I grandi della storia, e i loro cantori: Cicerone elogiò in un’orazione celebre quel Milone che aveva permesso l’assassinio del rivale Clodio. La vendetta è la reazione normale, quasi necessaria, a una grave ingiustizia, vera o presunta, o sentita. Quindi, la reazione normale sempre, o quasi. Non si è uomini, non si è degni, se non si lava l’onore macchiato.
La criminalità organizzata raccoglie un codice antico, che è dentro l’uomo, di ogni popolo e tempo. E non solo in epoche lontane. Diamo un’occhiata ai film, i fumetti che dilettano i nostri ragazzi: l’eroe molla tutto e tutti e si muove per fare giustizia, e noi tifiamo per lui, perchè quelli che ammazza tra effetti speciali sono così bastardi… ci vien voglia di dargli man forte. Poi è venuto il Cristianesimo, Qualcuno ha detto “perdonate fino a settanta volte sette”, cioè sempre, “beati i misericordiosi”, “amate i vostri nemici”, eccetera.
Lo so, fa strano, queste frasi stanno bene a Messa, e anche chi fedelmente ci va tutte le domeniche crede che stonino, quando si parla della vita reale. Appunto. Se non è in nome di Cristo che ha patito ed è morto per l’uomo, per il Figlio di Dio che ha scelto di immolarsi per il nostro male, perchè perdonare?
Margherita Coletta, la vedova indimenticata del maresciallo massacrato nel 2003 a Nassirya, lo disse tra le lacrime appena dopo l’attentato “che cristiani siamo se non sappiamo perdonare?”. Che uomini siamo. Perché poi, in un uomo vero, il male fatto non dà pace e non soddisfa, ma rode e distrugge l’anima.