Impazzano su media le vicende personali del premier. Il “caso Berlusconi-Noemi”, cominciato con una foto di gruppo in un ristorante, è diventato un vero e proprio caso politico. La vicenda ha avuto eco anche sui media stranieri, primi fra tutti quelli anglosassoni. Poiché l’affaire Noemi non ha cessato di alimentare accuse e polemiche, il capo del governo ha concesso un’intervista alla Cnn nella quale ha detto che avrebbe risolto ogni dubbio e risposto alle accuse. Ma è solo la stampa italiana ad aver perso il senso della misura? Lo abbiamo chiesto a Francesco Sisci, corrispondente de La Stampa a Pechino.
Sisci, il premier Berlusconi è al centro di una massiccia campagna di stampa per i suoi presunti rapporti con Noemi Letizia. Quale impressione si è fatto della vicenda, nella sua veste di corrispondente dall’estero?
La vicenda non arriva o arriva in misura debolissima. Vista da qui appare incomprensibile. O c’è lo scandalo e allora Berlusconi si dimette, o non c’è lo scandalo ma allora di che si parla? La mia impressione – forse distorta da vent’anni di lontananza – è che tutto congiura nell’esaltare l’immagine politica di Berlusconi.
Perché dice questo? Il premier si ritiene vittima di una congiura mediatica. Non senza un preciso scopo politico, naturalmente.
Scandali, veri o presunti, di origine sessuale capitano in molti paesi, ma ogni scandalo deve essere visto nel contesto storico culturale del singolo paese in cui avviene. La vicenda al centro della quale si trova il capo del governo ha trovato nel nostro paese, mi pare, un luogo di coltura ideale. Di fatto l’Italia è la patria del machismo, vero o vantato come tale.
All’apice del successo, dicono molti commentatori, Berlusconi ha ora da temere per la sua popolarità.
Ma un episodio di questo genere, al di là delle possibili eventuali implicazioni di natura penale, esalta, come dicevo, e non deprime, la figura di Berlusconi come il grande leader politico, e non solo, degli italiani. Se si tratta di un complotto o di una montatura – ma le mie considerazioni si collocano al di qua della verifica di quest’ipotesi – chi lo ha ordito non si è forse reso conto di questa componente.
Che impressione le ha fatto la cronaca della vicenda sui mezzi di informazione?
Senza entrare nel merito dei singoli articoli e dei singoli giornalisti, il modo in cui è raccontato lo scandalo Berlusconi-Noemi non è certamente la ricostruzione di un fatto, ma la celebrazione popolare di una telenovela del Belpaese: parla Gino, poi la zia, poi la mamma e il padre, tutto è pieno di dettagli caldi, non c’è nulla di utile per raffreddare i sentimenti, casomai per esaltarli. La divisione in difensori e accusatori è la continuazione naturale di questo allestimento, anzi ne fa parte.
Tutto comincia da un particolare, poi la cosa cresce, assume rilievo nazionale, diviene un caso politico e viene ripresa dall’estero, a cominciare dal Times. Al punto che Berlusconi decide di concedere un’intervista alla Cnn.
Berlusconi lo ha fatto per difendere all’estero la sua posizione, che gli sembra in qualche modo falsata da quello che riporta la stampa italiana. Mi pare però che il modo di fare comunicazione che funziona per Berlusconi in Italia non funzioni all’estero. In Italia il caso è esaltato dalla novellistica con cui alcuni giornali raccontano la vicenda e che di fatto ingigantisce Berlusconi. Alla stampa estera importa invece di tradurre i fatti in conseguenze politiche: Berlusconi come ha cambiato la vita pubblica? Ha ancora la maggioranza nel paese?, e via dicendo. E all’estero l’appeal tutto italiano di Berlusconi non sembra funzionare.
A suo modo di vedere è lecito porsi la domanda «a chi giova» a proposito di questo caso, legittimando il senso politico di una vicenda attinente la vita privata?
Io sono in genere particolarmente restio a pensare a complotti, ben sapendo che qualunque politico astuto approfitta di una difficoltà oggettiva di un suo nemico per inzupparvi il pane. Questo può essere accaduto, ma il primo a saperlo avrebbe dovuto essere proprio Berlusconi. Ma non si può pensare di andare all’estero “parlando” italiano, perché c’è una difficoltà oggettiva del mondo estero a capire la logica politica dell’Italia e la logica di comunicazione di Berlusconi, che è straordinariamente efficace in Italia quanto è incomprensibile al di fuori.
In cosa pecca quella che chiama la logica di comunicazione di Berlusconi?
Parto da un fatto: Berlusconi non riesce a comunicare con l’estero. È vero che viene eletto in Italia, ma sta in Europa e nel mondo e il modo che ha di proporsi certamente non lo aiuta in campo internazionale. Ne rimangono sacrificati i grandi temi di politica estera e le questioni strategiche. Un esempio? In quindici anni la quota di commercio mondiale dell’Italia si è dimezzata, passando dal 4,7 di metà anni ’90 al 2,7 per cento dell’anno scorso. È colpa della globalizzazione o della Cina? Negli stessi anni la Germania è passata dal 10 all’11,7 per cento. Di questo forse si dovrebbe parlare di più.
Ma chi deve parlarne è la stampa. La stampa ha o non ha responsabilità in questa caduta di qualità dell’informazione?
L’esempio che ho fatto vale naturalmente anche per la stampa. Può esserci una colpa della classe politica, ma c’è senz’altro anche una colpa di noi giornalisti che siamo più inclini a seguire la cronaca ritenuta più remunerativa, o a leggere tutto in chiave personalistica.