Caro direttore,
dalla “recepción” della Clinica mi chiamano perché c’è una signora che vuole darmi personalmente un contributo per le opere. Vado e come mi vede mi dice: “padre, mentre l’aspettavo, sono rimasta colpita dal via vai della gente che viene a portare di tutto, da pacchi di pannoloni a stock di medicine o che, come me, danno le loro decime”.
Torno a casa mia e suona il campanello, vado, apro la porta e una signora mi dice: “E’ da più di un’ora che sto cercando la sua casa per consegnarle questa busta con dei soldi. Sono di Luque (una città a 20 km da Asunción) e, in compagnia di altre amiche, abbiamo raccolto questo denaro per i suoi poveri”. Non faccio neanche a tempo a sedermi, che mi chiamano nuovamente dalla “recepción”. “Padre, c’è un gruppo di studenti della facoltà di diritto dell’università nazionale con un camion pieno di viveri, raccolti con i loro compagni”. Quando mi vedono, i loro volti si illuminano, felici di poter dirmi ciò che mi ha già anticipato per telefono la receptionist.
Mi raccontano che tutto è partito da uno striscione in una delle strade della città in cui era scritto “Padre Aldo ha bisogno di…”. Uno studente l’ha letto e subito si è messo all’opera parlandone con i compagni che, conoscendo l’opera, si sono mossi tutti con grande generosità. Una foto ricordo e con il volto illuminato dalla gioia per un’opera di carità compiuta, se ne vanno.
La responsabile del Banco alimentare ha avuto il suo daffare per il resto del giorno a mettere le due tonnellate di viveri al loro posto, ben ordinati. Anche lei è felice perché sa che per la settimana ha viveri da dare a cinquecento persone che fanno riferimento o sono parte delle opere della fondazione San Rafael.
“Padre, grazie per avermi dato, come penitenza per miei peccati, di compiere un gesto di carità”, mi dice una donna a cui avevo chiesto, prima di darle l’assoluzione, di comprare un pacco di pannolini per i miei ammalati. Era rimasta sorpresa perché, di solito, quando si confessava il sacerdote le diceva: reciti un “padre, ave, gloria”. Un fatto che mi ha permesso di capire come è importante svegliare il cuore delle persone provocandole a compiere un gesto di carità molto concreto.
Don Giussani ci ha educato alla carità non solo attraverso il gesto della caritativa, ma anche attraverso la scuola di comunità che terminava sempre con la proposta di un impegno concreto. Si impara facendo e non parlando della carità. Mi è arrivato in questi giorni l’avviso del Meeting 2016. Un titolo bellissimo: “Tu sei un bene per me”, ma anche una sberla per tutti perché quanti sono coloro che hanno questa coscienza di chi vive vicino o lontano?
Spero che non prevalgano le tavole rotonde o i discorsi filosofici o teologici su chi è l’altro e il perché è un bene per me. Dicendo questo, penso alla mia povera mamma che, nonostante più volte abbiamo sofferto la fame, quando veniva un povero o un frate questuante gli dava un chilo di fagioli e un po’ di formaggio. Era tutto quello che si coltivava in montagna. Da lei ho imparato chi è l’altro e perché è un bene per me. Per questo, mi duole quando, attraverso la mail, chiedo agli amici, la maggioranza dei quali appartengono al popolo del Meeting (mi riferisco agli adulti), di aiutare questa grande opera di Dio, come l’ha definita papa Francesco, offrendo il costo di una pizza margherita, e loro non rispondono. Non lo chiedo per padre Aldo, ma per l’altro che è un bene per me. Come sarebbe bello ascoltare la testimonianza di quell’amico che per aiutare i miei numerosi figli ha rinunciato da molto tempo al caffè che quotidianamente prendeva al bar!
L’amore è un avvenimento ma si manifesta nei dettagli, e lo si vede dal criterio con cui uno decide di comprarsi una macchina e il tipo di macchina, dal luogo che sceglie per le vacanze e dalle cene luculliane a cui partecipa. È facile dire “ragazzi, che culo abbiamo” facendo i sordi all’altro che grida perché bisognoso di tutto. Il papa, non solo con il suo insegnamento, ma anche con il suo esempio ci richiama continuamente al criterio che ci permette di capire cosa vuol dire che l’altro è un bene per me. È passato quasi un anno da quando è venuto a casa mia incontrando i miei figli poveri ed ammalati, e non passa giorno che non dica “Signore, perché proprio a me, un poveraccio di prete, questa grazia? E perché ha voluto, per sua decisione, regalare la Fiat Idea che aveva usato nel suo soggiorno in Paraguay alla fondazione?
Ma ancor prima di Papa Francesco il servo di Dio Don Giussani mi aveva educato, continuando il cammino di mia madre, al fatto che l’altro è un bene per me. Vivevo in via Martinengo, in un’umile casa che condividevo con padre Scalfi e quando avevo la grazia di visitarlo mi chiedeva sempre di cosa avevo bisogno e se era vicina l’ora del pranzo mi invitava a mangiare con lui. È perché mi sono sentito un bene prezioso per lui che oggi ogni persona che incontro è un bene concreto per me. “Che grande opera di Dio c’è laggiù”, ha detto il Papa, riconoscendo in essa la stessa ragione per cui mia mamma donava un po’ di fagioli e un pezzo di formaggio a chi, durante il freddo inverno, bussava alla porta chiedendo aiuto: era Gesù. E questo è il motivo ultimo e profondo del perché l’altro è un bene per me. Spero che il Meeting tenga questa posizione, quella di mia madre, quella di chi scende da cavallo e, in ginocchio, chinandosi, fa come il Buon Samaritano.