E ora parliamo di cose serie: la bagna caoda. Chi è piemontese come me ce l’ha nel sangue e scorre nelle vene, anche se nella storia c’è stato un imbastardimento di questo piatto dovuto a una pericolosissima declinazione dei Savoia. I quali copiavano tutto ciò che proveniva dalla Francia e dunque anche l’uso eccessivo di burro e panna. Pensate che a quei tempi girava un libro, del 1776, dal titolo: “Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi”. Per il conte Riccardo Riccardi di Santa Maria di Mongrando, che dei Savoia aveva un culto, questa della panna, del latte e del burro era una barbarie. Ed anch’io io ne sono convinto.
Del resto la bagna caoda nasce come piatto del recupero di quello che c’era nella stagione fredda, piatto da compagnia nelle lunghe sere, a riscaldarsi dentro la stalla oppure quando fra amici si faceva tardi la sera bevendo qualche buona bottiglia messa via dal nonno. Anch’io che ho solo (?) 50 anni ho fatto queste cose, nel silenzio di una casa di campagna coi nonni che dormivano ma, felici di una certa complicità, avevano già capito tutto. Uno andava in cantina a prendeva un vino rosso, possibilmente frizzante, un altro tagliava l’aglio e puliva le acciughe, poi l’olio di oliva per fare la salsa, evitando di farlo friggere. Infine il cardo gobbo, il peperone messo sotto vinaccia, i topinambur, i sedani, le rape. E per concludere l’uovo preso nel pollaio da friggere nell’ultima porzione di bagna che sfrigolava nel guyot. Il vino ideale per la bagna caoda? Il Grignolino, ma anche la Barbera frizzante. Altra domanda: la miglior bagna caoda mai assaggiata? Quella che fa Peppino Zola al venerdì nel suo Mama Café a Milano. Oppure la mia, che ho cucinato la settimana scorsa, come un rito, con gli amici. Ed ho usato una ricetta antica, che va in perfetta controtendenza a quella sabauda che vorrebbe stemperare l’afrore dell’aglio nel latte. L’aglio lo tagli a fettine, ne levi l’anima verde e poi lo metti dentro ad una tazza piena di vino Dolcetto. In più, rispetto alla ricetta originale, c’è il trito di noci che è coerente con la filosofia del piatto condito con ciò che c’era in autunno in campagna. Ma eccovi la ricetta come è stata pubblicata sull’ultima edizione di Adesso, il libro per la famiglia del 2012 e che figura come auspicio per venire a Torino, alla prossima edizione di Golosaria, in programma il 20 e 21 novembre alla Nuova Piazza dei Mestieri.
Bagna caoda al vino rosso
La versione che qui proponiamo, raccolta da Claudio Barisone, è la più antica, ovvero quella che prevede la cottura nel vino rosso. Pare che i vignaioli del tardo Medioevo cercassero un piatto straordinario per festeggiare insieme un evento importantissimo, ovvero la spillatura del vino nuovo che segnava la messa al sicuro del raccolto più travagliato.
L’acciuga salata in barili cominciava ad arrivare in Piemonte e a diffondersi grazie agli acciugai ambulanti occitani della Val Maira (a Golosaria potrete incontrare Riccardo Abello, erede odierno di quella dinastia. È dunque un piatto corale (tutta la comunità festeggiava insieme intingendo nello stesso tegame).
Ingredienti per 2 persone:
• 6 spicchi d’aglio
• 14 acciughe rosse di Spagna sotto sale
• 1 bicchiere di olio extravergine
• 8 noci
• 1 bicchiere di Dolcetto d’Acqui
Versate in un tegame di terracotta poco olio, aggiungete l’aglio tagliato a fettine sottili e le noci tritate finemente e cuocete a fiamma bassissima in modo tale che l’olio non frigga e l’aglio rimanga bianco. Unite i filetti di acciughe sotto sale, dopo averle lavate con poca acqua e aceto e diliscate, quindi tenetele a mollo nel Dolcetto.
Quando il tutto comincia a sobbollire, aggiungete il Dolcetto e, dopo aver lasciato evaporare l’alcol, aggiungete il restante olio. Versate infine la bagna caoda calda nei singoli fornelletti (i guyot).
Provatela, non ve ne pentirete. Ci vediamo a Golosaria!