Dr Google spopola, secondo un’indagine del Centro Medico Santagostino riportata in rilievo da ADN kronos: ma non si tratta di un medico in carne ed ossa, ma dell’informazione medica sul web, cui oggi il 97% degli italiani si rivolge per sapere “che malattia ho?” “che posso prendere per curarmi?”. Cosa pericolosissima, perché la cura non è un processo meccanico e burocratico del tipo “ho questo sintomo = ho questa malattia = prendo questa medicina”; se la medicina è ridotta a questo, diventa iatrogena, cioè produce essa stessa malattie. E il dramma è che in realtà oggi la medicina si sta riducendo proprio a questo, se si pensa a quanto la burocrazia e la protocollocrazia si sia introdotta negli ospedali; che a loro volta sono diventati delle aziende, e i malati sono clienti, così come i medici sono “operatori sanitari”.
Ci stupiamo che la gente preferisca i tasti immediati e rapidi di internet? In una medicina aziendalizzata dove i processi organizzativi sono talora ripresi da quelli delle fabbriche, ci stupiamo che la gente (sì, la gente, quella che ormai i burocrati ospedalieri chiama “l’utenza”) non veda la differenza tra il freddo computer e il freddo sportello del ticket?
Certo, la medicina e in particolare in Italia ha ancora un’anima; ma per quanto? L’ordine dei medici ha sentito il bisogno di promulgare un Codice Deontologico fatto di 79 articoli, mentre per secoli era stato ritenuto valido il semplice ma chiaro giuramento di Ippocrate; ma il moltiplicarsi di regole, commi, protocolli, mansionari, liberatorie, permessi, statuti, non è un segno buono. Parrebbe che così nulla scappi all’operatore o al dirigente, che tutto sia sotto controllo, invece accade il contrario: quando si vuole normare, cioè descrivere per legge tutto ma proprio tutto, è proprio allora che il rapporto si incrina, per il semplice motivo che se il rapporto tra medico e paziente, tra medico e medico deve in tutto ricadere nella forma scritta di contratto, vuol semplicemente dire che nessuno si fida più di nessuno. E vuol dire anche un’altra cosa: che quando il lavoro è descritto minuziosamente per esteso in commi e capitoli, in orari e mansioni alla fine si pensa che il lavoro sia “tutto lì” (cioè che fatto quello ho chiuso il mio dovere). I lavori del sociologo statunitense Berry Schwartz ben spiegano questo concetto: voler normare tutto porta non un aumento di livello di cure, ma alla mediocrità.
Informarsi sul web inoltre non è neutro, perché siamo portati a guardare i siti di cui ci fidiamo (e dovremmo domandarci prima perché ci fidiamo di quei siti e non di altri), ma inconsciamente cerchiamo una conferma a quello che già ci volevamo sentire dire. Viene da pensare quanta disinformazione sia possibile sul tema caldo dei vaccini, di come si possa passare facilmente dal concetto di non venir obbligati, a quello di rifiutare qualcosa utile (i vaccini) solo perché viene proposta in modi e tempi non graditi. E ci si informa sul web, a dai comizi televisivi, su un fatto che le società scientifiche hanno ben chiaro come un dogma: vaccinarsi vale la pena. Ma la questione dei vaccini è stato un grave segnale, è stato come dire ai medici: di voi non ci fidiamo più. Cosa purtroppo comprensibile, ma irrazionale: irrazionale estendere la sfiducia a tutti i medici e tutte le istituzioni, e irrazionale il fai-da-te conseguente.
Aziendalizzazione e fai-da-te della sanità rappresentano l’agonia dell’arte medica, legata indissolubilmente al rapporto personale, personalizzato: alla fiducia. Fiducia? Ma la medicina non era questione di scienza, di numeri? Sì, ma i numeri sono tanti, sovrabbondanti e bisogna essere capaci di leggerli e di applicarli alla persona, caso per caso. Per questo la medicina è fiducia, sia perché chi non è medico può fare disastri col fai-da-te, sia perché la cura è un percorso. Questo è un concetto importante: la cura non è la caccia al sintomo, ma un tentativo di migliorare il senso di soddisfazione e salute della persona.
Se non è fatto insieme ad un altro di cui ci si fida diventa un tentativo meno fruttuoso: chi sta accanto può capire cosa c’è dietro il semplice sintomo, quale tra le possibilità terapeutiche sia la più adatta al soggetto e al suo ambito: magari hai un mal di testa e vuoi solo un antidolorifico, mentre il medico sa capire se è stress, un tumore, una bevuta, magari un problema di vista… Nessuno si cura da sé, così come nessuno vola tirandosi su per i capelli con la propria mano, perché certi problemi vanno visti serenamente, ma dall’esterno. Tutti sanno che un medico serio spesso rifiuta di curare se stesso o un proprio congiunto.
Ma la storia mostra un salto mortale: si è passati ci colpo da una medicina paternalistica in cui il medico era padre-padrone ad una medicina consumistica, in cui il medico è un negoziante. Troppo velocemente, troppo fuori bersaglio. E negozio per negozio, tanto vale — dice la gente ormai — bussare su internet. Dai dati raccolti nello studio che citavamo all’inizio, vediamo che la ricerca online sul web si rivolge a cercare notizie sui propri sintomi (75,9%), poi le patologie (73,9%) e i farmaci (67,6%). Ben si capisce i limiti e i rischi. Che dire? Celebriamo il funerale della medicina, morta prematuramente per abbandono e sfiducia. Risorgerà? Vedremo. Il miracolo non lo farà però un crudo inibire l’accesso alla rete o un superficiale sconsigliarlo. Occorre ridare valore al rapporto di amicizia tra paziente e medico per veder rinascere il germoglio di un’arte nata da Ippocrate e oggi ferita a morte dalla burocrazia.
Post scriptum. Comunque, se proprio si deve cercare in rete, non fidatevi del primo sito, del primo giornale o del primo spot: esistono luoghi deputati anche (se necessario) a rispondere online ai problemi di salute — rimandando comunque sempre alla visione diretta del problema —: sono i siti delle Società Scientifiche Nazionali e Internazionali o i siti web delle grandi cliniche, che spesso hanno portali dedicati a raccogliere domande e rispondervi. Fuori di questo il web è solo avventura.