BAKU (Azerbaijan) — Il Papa perde tempo? No. Se decide di lasciare il Vaticano, attraversare l’Europa, approdare nel Caucaso meridionale con una tappa a Tbilisi, sulle riva del Kura, come gli antichi mercanti sulla via della Seta, c’è un perché. E ci perdonino gli strateghi dell’impossibile “geo-politica” vaticana, ma la ragione è molto più semplice: visitare una Chiesa così piccola che una parrocchia arroccata sulle Dolomiti conta più abitanti.
Così lo abbiamo visto arrivare in Azerbaijan, la terra del fuoco e del petrolio, per finire a celebrare messa in una chiesa di periferia, sorta appena 10 anni fa con lo stesso titolo del primo edificio di culto cattolico di Baku, capitale immaginifica del paese. La storia delle mura progettate da Paolo Ruggiero, che ieri contenevano poco più di 300 persone, già da un’idea delle motivazioni che hanno spinto il Papa ai confini dell’Europa, in uno spazio occupato da opere futuriste e palazzi rosati, auditorium e monumenti dalle forme sinuose e tondeggianti, partorite dalla fantasia sfrenata ed ardita di archistar patinati.
Nonostante l’affollamento urbano, quando si entra nella chiesa dell’Immacolata Concezione affidata ai salesiani si ha la sensazione di essere sulla torretta della fortezza Bastiani, a contemplare il nuovo “deserto dei Tartari”. La comunità cattolica nel 1895, sotto l’impero zarista, ebbe il permesso di costruire un proprio edificio, che innalzato con non pochi sacrifici finì malamente grazie alla furia bolscevica. Raso al suolo e il parroco spedito ai campi di lavoro forzati. La rinascita grazie a Giovanni Paolo II, che ottenne il terreno per la costruzione di una nuova Chiesa sempre dedicata all’Immacolata.
Nella parrocchia, dove abitualmente si riunisce la microscopica comunità cattolica (attenzione, stiamo parlando dello 0,01 per cento della popolazione azera) ieri si è affacciato un ospite speciale, nientemeno che il successore di Pietro, il quale dopo aver detto messa e predicato con passione, alla fine si è lasciato andare a una qualche raccomandazione. Che a nessuno venga in mente di chiedere perché il Papa è finito a Baku, potrebbe incorrere nella sua furia. Perché come dicevamo la motivazione è semplice, persino ovvia. Quei 700 cattolici, badanti e personale di servizio filippino, diplomatici e nuovi mercanti europei, militari e viaggiatori di professione sono come la comunità apostolica riunita nel cenacolo quasi 2 millenni fa. Tutti uomini e una donna, la Madre di Cristo, che ricevettero la visita dello Spirito Santo. Lo ha spiegato con chiarezza Francesco, quasi a tappare la bocca agli eterni censori che rimproverano al pontefice argentino la scelta pastorale delle periferie.
Perché di questo senz’altro si tratta, di periferia. Nonostante i petrodollari e i volumi firmati Zaha Hadid, Baku e l’Azerbaijan rimangono ai margini (sfido a trovare cinque persone di seguito che sappiano collocarli esattamente sull’Atlante) e la comunità cattolica è ai margini dei margini.
Ebbene questi poveretti, circondati dal mare islamico diviso tra sunniti e sciiti, sono stati visitati dal Papa perché, come gli apostoli, a volte si sono sentiti impauriti, soli e abbandonati, forse persino perseguitati e avevano un bisogno disperato di qualcuno che li incoraggi ad andare avanti a “proclamare il nome di Gesù”.
Insomma il Papa perde tempo con i cattolici dell’Azerbaijan come lo Spirito Santo lo perse soffiando nel Cenacolo. C’è qualcosa di grande e allo stesso tempo umile nella spiegazione fornita da Papa Francesco. Insieme all’amore di un Pastore che incontra il suo gregge più piccolo e lontano. Certo c’è stato anche tutto il resto, l’incontro con i vertici istituzionali, la standing ovation tra le volute di Zaha Hadid, i passi nella Moschea e il colloquio con lo Sceicco. Ci sono state le parole di pace dette al mondo e quelle consegnate a leader religiosi pieni di buona volontà. Ma quello che rimane e commuove è il “tempo perso” insieme ad un gruppetto di cristiani.