In quanto a funzioni e governo politico le Province meritano senza dubbio di venire riformate. Salvo alcuni pochi casi invece il loro accorpamento è soltanto una perdita di tempo, un danno per l’economia e la società nonché uno spreco di denaro pubblico: ovvero l’esatto inverso di quanto pretende il governo Monti, anche in questo caso più che mai ostaggio del peggio della burocrazia ministeriale.
Partiamo dal danno per l’economia e la società per poi arrivare al resto. Anche molto al di là delle loro attuali funzioni le Province italiane non solo coincidono con le Prefetture, e quindi con l’organizzazione territoriale dello Stato, ma soprattutto valgono quali perimetri che nel tempo sono stati fatti propri da un gran numero di organismi: dalle Camere di Commercio ai sindacati, dalle associazioni imprenditoriali alle più diverse organizzazioni di categoria fino a una svariata gamma di enti di ogni genere di natura sociale, culturale e così via. Accorpare le Province significa quindi o costringere tutto questo mondo a degli analoghi accorpamenti, sempre molto difficili, o causare uno sfasamento di tale tessuto associativo rispetto al tessuto istituzionale. Una questione che poi sembra sfuggire a un governo di cultura tipicamente illuminista come l’attuale è il fatto che il nostro Paese non è una prateria primigenia percorsa da tribù nomadi bensì una delle parti del globo ove la densità storica e la densità culturale sono maggiori: una densità che è la vera risorsa fondamentale non solo della nostra società ma anche della nostra economia. Pretendere quindi di riorganizzarne il territorio in base a criteri puramente quantitativi (tanti chilometri quadri, tanti abitanti) non è solo un’astrazione: è un sintomo di ignoranza abissale.
Se il danno per l’economia e la società è evidente, altrettanto lo è lo speco di denaro pubblico. Non si stenta a immaginare che cosa costerebbe l’abbandono degli edifici delle amministrazioni provinciali dei capoluoghi soppressi e lo spostamento del loro personale in nuove sedi nel capoluogo superstite con tutto quel che ne conseguirebbe anche in materia di “pianta organica” e cose del genere; o più probabilmente (a causa della prevedibile resistenza sindacale) il mantenimento di ogni ufficio là dove già era con le conseguenti complicazioni organizzative. Il tutto condito da un lungo periodo di transizione e quindi di disservizi. Con una trovata del genere non si risparmia nulla, anzi non si fa altro che buttare tempo e denaro.
Va poi sottolineata ancora una volta la natura evidentemente strumentale di questo attacco alle Province, alle Regioni, e alle autonomie territoriali in genere, sferrato dal governo Monti in nome e per conto della burocrazia ministeriale che largamente lo condiziona. In un governo che è una vera e propria scuderia di cavalli di Troia, Filippo Patroni Griffi, ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, è il cavallo d Troia della burocrazia statale, ovvero proprio di quella macchina amministrativa pletorica e inefficiente che è di gran lunga la prima causa di spreco di denaro pubblico nel nostro Paese. Se in effetti si volesse mirare a una riforma davvero efficace della pubblica amministrazione è proprio dai ministeri e dai para-ministeri romani che si dovrebbe partire. Se invece si è lì soprattutto per tenere i burosauri al riparo da tale rischio che cosa si può fare di meglio se non un bel attacco diversivo alle autonomie locali?
Con tutto questo rimane pur vero che occorre metter mano a una riforma delle Province. In tale prospettiva a un vero risparmio di spesa rilevante in tempi brevi e senza sconquassi si può però puntare riformulandone piuttosto le funzioni e riducendo il numero dei membri sia dei loro consigli che delle loro giunte. Frattanto però ben venga dunque ogni legittima resistenza all’”accorpamento” selvaggio delle Province. Tra le iniziative al riguardo che si registrano in varie parti del Paese sono di particolare rilievo quelle prese dalla Regione Lombardia, la cui giunta lo scorso 12 ottobre ha deliberato di presentare ricorso alla Corte costituzionale contro la legge di riordino delle Province e delle loro funzioni, e lo scorso 23 ottobre ha approvato una delibera nella quale si sottolinea essere necessario che il governo di Roma valuti con attenzione “la peculiarità specifica sia territoriale sia demografica della Lombardia che, con l’attuale articolazione territoriale fondata su dodici Province con una media di oltre 800.000 abitanti, non costituisce certo una caso di ingiustificata parcellizzazione territoriale”. Comunque, si osserva ancora,” nel mettere mano al riassetto degli Enti provinciali, occorre distinguere tra Enti che creano dissesto alle finanze pubbliche ed Enti che invece garantiscono l’equilibrio di bilancio”. La giunta lombarda ha espresso e trasmesso al governo queste considerazioni senza una proposta formale di accorpamento delle Province, dal momento che il Consiglio regionale, competente in materia in base allo statuto della Regione, frattanto non si era pronunciato nei tempi stabiliti dalla legge nazionale.