Un colpo di scena che Daniela Poggiali aspetta ormai da tre mesi. L’ex infermiera di Lugo è stata condannata infatti all’ergastolo per la morte di Rosa Calderoni, una paziente che aveva in cura e che secondo l’accusa avrebbe ucciso con il potassio. Una perizia dei tre consulenti del tribunale di Bologna non hanno tuttavia smentito che la donna possa in realtà essere morta per cause naturali. I difensori di Daniela Poggiali hanno fatto subito ricorso in appello, in seguito alla condanna all’ergastolo comminata in primo grado all’ex infermiera. I giudici hanno incaricato tre periti di verificare le cause della morte di Rosa Calderoni, attribuita ad una somministrazione di potassio effettuata dall’imputata e che ora lascia invece spazio a diversi dubbi. Secondo Mauro Rinaldi, docente di cardiochirurgia di Torino, Giancarlo Di Vella, docente di medicina legale dell’Università di Torino, e Gilda Caruso, docente di patologia cardiovascaolare dell’Università di Bari, non è possibile stabilire con certezza una patologia precisa che abbia provocato il decesso di Rosa Calderoni. “Deve osservarsi”, scrivono i tre periti nella loro lunga relazione, “che Rosa Calderoni fosse portatrice di un insieme di patologie croniche” e che qualunque di queste avrebbe potuto quindi provocarne la morte.
I tre periti nominati dai giudici d’appello di Bologna, per il caso di Daniela Poggiali, hanno risposto anche in merito alla possibilità che l’ex infermiera abbia ecceduto nel somministrare il potassio alla vittima. Si tratta di uno dei punti cardini che ha portato alla condanna all’ergastolo della donna, soprattutto grazie alla testimonianza della figlia della paziente, che indicò la Poggiali come l’ultima infermiera che somministrò le cure alla paziente. Secondo i periti, il quadro clinico di Rosa Calderoni era “solo in parte compatibile con l’iperkaliemia a concentrazioni letali”. Il particolare che il decesso della donna sia sopraggiunto solo 60 miuti dopo la somministrazione del potassio da parte dell’ex infermiera, si scontra inoltre con un’eventuale somministrazione letale. Quest’ultima, sottolineano Di Vella, Rinaldi e Carusi, sarebbe stata possibile nell’immediato solo se la somministrazione di potassio fosse avvenuta dalla giugulare. Come sottolinea il Corriere di Romagna, quella mattina la paziente presentava due accessi venosi, uno alla giugulare ed un altro al piede ed entrambi rendevano impraticabile la somministrazione indolore in quei punti.