L’Unione delle Camere Penali Italiane ha indetto l’astensione dalle udienze degli avvocati penalisti nei giorni 14,15,16,17 e 18 novembre 2011 per denunciare il grave attacco in corso alla funzione difensiva, declinandolo nei seguenti punti.
La prassi distorta di ritardare l’iscrizione nel registro degli indagati delle persone nei cui confronti vi sono già indizi di reato, in modo da poterli escutere come persone informate sui fatti, senza l’assistenza del difensore.
La frequente e illegale auscultazione delle comunicazioni tra il difensore e il proprio assistito che, ancorchè non utilizzabili, offrono illecitamente spunti di indagine: conversazioni telefoniche o ambientali che spesso vengono trascritte negli atti della Polizia Giudiziaria o della Magistratura.
Alcuni casi in cui il Pubblico Ministero, con provvedimento abnorme ha sollevato il difensore dal segreto professionale per forzarlo a riferire quanto appreso in costanza del mandato difensivo.
La mancata riforma della legge professionale, emanata negli anni ’30, che risulta totalmente inadeguata a governare il ceto forense in un contesto socio-economico radicalmente mutato: non intervenendo sull’accesso e sul rinnovamento degli Ordini la conseguenza più ecclatante è l’esorbitante numero di avvocati (oltre 200.000 iscritti), decisamente sproporzionato alle reali esigenze del Paese, che produce un abbassamento del livello di professionalità, di deontologia e di indipendenza della classe forense a detrimento degli interessi del cittadino utente.
Infine, si denuncia la mancata attuazione del riformato art. 111 della Costituzione, in tema di giusto processo, in quanto l’appartenenza allo stesso ordine giudiziario dei Pubblici Ministeri e dei Giudici, mina gravemente la terzietà di questi ultimi e l’effettiva parità tra accusa e difesa.
Diversamente da altre ragioni per cui l’avvocatura in passato è scesa in campo, non si possono non considerare serie le motivazioni a sostegno dello “sciopero” indetto dall’U.C.P.I..
E’ vero che, per una deviazione del nostro sistema processuale penale (la difficoltà e la lentezza nella celebrazione dei dibattimenti e, quindi, di pervenire alle sentenze; l’esposizione mediatica fin dai primi atti di indagine; l’assoluta indipendenza e autonomia dei Pubblici Ministeri, che può scadere nell’irresponsabilità), il sistema di accertamento della responsabilità penale è molto sbilanciato sulla fase delle indagini, cioè sulla fase gestita e controllata prevalentemente dalla Pubblica Accusa.
Ciò ha creato nell’Autorità Inquirente una cultura giudiziaria che punta più all’ottenimento del risultato immediato, a volte anche al prezzo della violazione sistematica di alcune regole processuali come ha giustamente denunciato l’Unione delle Camere Penali, senza che ciò sia censurato dalla Magistrautra stessa nelle sue forme associative o dagli organi istituzionali preposti al controllo.
Ugualmente è molto seria la preoccupazione espressa nella protesta di cui ci stiamo occupando, con riguardo alla mancata riforma della legge professionale forense: vi è una diffusa sottovalutazione dell’impatto negativo che una classe forense (in un sistema penale in cui la difesa tecnica è obbligatoria; ma anche nel processo civile, amministrativo o del lavoro, ove il ricorso all’avvocato è ineludibile) sbilanciata numericamente in eccesso, fuori controllo sotto il profilo della competenza e dell’etica professionale, ha su tutto il sistema processuale e sul buon funzionamento dell’Amministrazione Giudiziaria.
Sul punto si sostiene da più parti che la modernizzazione del Paese dovrebbe passare attraverso la liberalizzazione delle professioni che, per l’avvocatura, consisterebbe, in sintesi, nell’abolizione degli Ordini e delle tariffe, in un accesso meno controllato, alla possibilità di formare società di capitali tra professionisti, equiparando sostanzialmente l’avvocato al libero imprenditore.
Si tratta di una visione miope e superficiale: l’avvocato, per quanto libero professionista, svolge una funzione essenziale nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia, maneggia interessi delicatissimi per la persona e la collettività; togliere la protezione garantita dall’accesso selezionato, dal controllo disciplinare, dall’obbligo formativo, significa esporre il cittadino al rischio di essere assistito da professionisti inadeguati a difendere interessi primari quali la libertà, il patrimonio, il lavoro, il rapporto con la Pubblica Amministrazione, ecc..
L’attuale situazione di declino della classe forense, per l’esorbitanza degli iscritti e la mancata riforma della legge professionale (di fatto molto simile ad un libero mercato), con tutte le conseguenze negative sui singoli assistiti e sulla collettività cui quotidianamente si assiste, dovrebbe indurre alla riflessione opposta: quella, cioè, dell’urgenza di attuare tutti gli strumenti utili e adeguati a riqualificare la professione forense (in termini di accesso e di controllo professionale e deontologico), per proteggere di più il cittadino utente e per un miglior funzionamento del sistema giudiziario.
Si denuncia, infine, la mancata attuazione del giusto processo, perché nel nostro sistema accusatorio non vige la separazione della carriere tra P.M. e Giudici: è vero che siamo ancorati ad una cultura processuale legata all’unità della giurisdizione e difficilmente riusciamo ad immaginare un sistema diverso; è altresì vero che stiamo assistendo negli anni ad una più marcata identità accusatoria dell’Autorità Inquirente, che si distingue sempre di più da quella giudicante. Potrebbe essere matura, quindi, l’opzione di attuare più decisamente l’indirizzo accusatorio del nostro processo penale, in coerenza con la scelta effettuata ormai vent’anni fa, favorendo una maggior parità tra accusa e difesa e la terzietà dei magistrati giudicanti.
In conclusione, una riflessione sull’adeguatezza e l’efficacia dello strumento dello sciopero (ossia dell’astensione dalle udienza e da ogni attività giudiziaria) degli avvocati penalisti. In questi ultimi anni l’avvocatura è spesso ricorsa a tale forma di protesta, per le più svariate ragioni, non sempre degne di mobilitazione: ciò ha sicuramente depotenziato lo strumento e raramente si è ottenuto il consenso e la comprensione della collettività rispetto ai problemi sollevati e la risposta alle istanze avanzate.
Inoltre, l’avvocato svolge una funzione delicata e necessaria nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia; impedire la celebrazione delle udienze, oltre a poter creare delle situazioni di conflitto con il proprio mandato, non contribuisce certo ad elevare il decoro della professione (nell’immaginario collettivo, infatti, l’avvocato non sacrifica nulla di sé scioperando e può sorgere il sospetto che l’adesione sia strumentale ad una strategia dilatoria del processo): è noto che il diritto all’astensione del difensore è ricompreso nel diritto di sciopero costituzionalmente garantito; è, però, un problema di opportunità e di adeguatezza di tale forma di protesta al particolare ruolo svolto dall’avvocato.
Agli avvocati e alle associazioni forensi, infatti, non mancano possibilità e occasioni di denuncia di problematiche serie, come quelle di cui abbiamo parlato, alternative allo sciopero e più adeguate alla loro funzione: credo sia un bene per tutti se, nel nostro Paese, si possa tornare a discutere di giustizia e di riforme, in modo pacato e senza contrapposizioni.