In questo nostro articolo oggi abbiamo raccontato il caso incredibile della 14enne promessa sposa dalla famiglia originaria del Bangladesh che però ha deciso di rinnegare la sua identità, la tradizione dell’Islam per rimanere in Italia, per poter magari indossare un bikini senza essere insultata dalla famiglia e per poter vivere una storiella d’amore con un compagno della sua età. Senza un matrimonio combinato, a 14 anni, lontano anni luce da quello che è la sua realtà di tutti i giorni in Italia, a scuola, dove tra l’altro ha capito che quella vita proposta, anzi imposta, dai genitori non faceva per lei. E dunque la fuga, la denuncia delle botte prese dai suoi genitori e la felice scoperta che la scuola è stata la sua trasformazione da musulmana ad europea. Eppure il caso della ragazzina originaria del Bangladesh “accende” un problema ancora più grande, molto meno banale di quanto possa sembrare agli “ottusi” commentatori occidentali: il rifiuto della propria identità, religiosa, culturale, famigliare, è un bene oppure un rischio? È facile infatti per tutti poter dire oggi, “beh, quella ragazza si è ribellata ad un’assurda vita imposta dai genitori, ha fatto bene”, ma fermiamoci un attimo: a 14 anni, perdere una famiglia, rinnegarla e decidere uno strappo del genere, siamo così certi che sia una cosa semplice e fatta a “cuor leggero”? Quando la madre ha saputo del suo fidanzatino italiano le ha urlato: «Sei una put..a, vuoi solo andare a prostituirti». Lei ha scoperto che l’ avevano già data in sposa a un parente, nel suo Paese; ha poi raccontato a Repubblica, «La mia educazione è stata molto rigida mi è stato sempre vietato di mangiare carne di maiale, ma a me piacciono i salumi, e li mangio di nascosto. Poi, mi obbligano pure a osservare il Ramadan: qualche volta, mi è capitato di averlo interrotto, per fame e per sete. E quando i miei genitori l’ hanno saputo, sono stata riempita di insulti». Ora però vive in una casa famiglia e il dolore per uno strappo del genere lo può conoscere e sapere solo lei; non è un passaggio immediato quello compiuto dalla 14enne, in poche hanno avuto il “coraggio” di fare una scelta del genere.
UNA IDENTITÀ RINNEGATA
Già, l’educazione: la stessa ragazzina ha parlato di “educazione rigida dei suoi genitori aderenti all’Islam”. Una mancanza di libertà che per la 14enne ha significato il rigetto di quell’identità che la contraddistingue: quelli infatti rimarranno sempre madre e padre, carne della sua carne, eppure come si può arrivare ad un punto del genere? Non pensiamo di essere immuni da questo “problema”, da questo “dramma”, solo perché magari non abitiamo in una famiglia musulmana e non siamo cresciuti dentro il Ramadan e il Corano. Come infatti potremmo reagire davanti ad un figlio che, amato e cresciuto senza mai fargli mancare nulla, un giorno possa dirti “rinnego tutto quello che voi rappresentate, vivete e comunicate, vi odio”? Ovvio, direte voi, il livello di vessazione e violenze che regnavano in quella famiglia, stando alle parole della ragazza, non sono per nulla paragonabili a quelle che magari abbiamo vissuto noi nelle nostre famiglie, ma il problema dell’identità rinnegata e rifiutata resta eccome.
UN PROBLEMA DI EDUCAZIONE
Giustamente l’ottimo Vites nel nostro articolo di oggi ha scritto «La scuola è stata la causa della sua trasformazione da musulmana a europea. Dice così una 14enne originaria del Bangladesh in una intervista pubblicata oggi sul quotidiano Repubblica. Se davvero è così, finalmente la scuola si dimostra quello che dovrebbe sempre essere, educazione alla libertà. La giovane infatti era vessata dai genitori che le rimproveravano di rifiutare i dettami estetici e non solo dell’islamismo più ortodosso». Una educazione alla libertà, qui sta il punto secondo noi: quello che ha evidenziato la ragazza è l’insostenibilità di vivere in quei dettami, rigidi, disumani in alcuni modi e chiusi perché limitanti la sua libertà di 14enne ancora tutta da crescere. Il valore enorme e il peso decisivo che l’educazione impronta in ciascun figlio è un tratto non eludibile: introdurre alla realtà e non “obbligare” il figlio alla “propria“ idea di realtà è una sfida enorme che coinvolge ogni giorno ogni genitore che esiste su questa terra, che sia islamico, cristiano o ateo. Se quell’identità è proposta e non imposta allora davvero cambia tutto: se quell’identità viene educata con libertà e alla libertà del figlio, addirittura rischiando che il figlio possa scegliere un’altra strada, è uno dei compiti più ardui che un genitore possa sperimentare nel corso della sua esistenza. L’elemento dunque decisivo ci pare sgorghi all’origine di una educazione piuttosto che di un’altra: se vi è un’educazione alla libertà ultima del figlio e non un’imposizione di qualsivoglia dettame religioso-culturale-sociale, allora sì che può cambiare tutto. Amare la libertà di proprio figlio e non desiderare il proprio progetto su di lui è una sfida enorme che quei genitori del Bangladesh, violenti e legati alla rigida volontà del Corano, hanno purtroppo perso.