Si è molto parlato del caso Islanda, dove con grande orgoglio è stato annunciato che il 100% dei bambini down vengono abortiti, eliminati così del tutto che neanche i medici dei campi di concentramento nazisti ci erano riusciti. Si dice che queste cose succedono solo nei paesi dove ormai la religione cristiana non ha più alcun impatto e dove i cristiani praticanti, cattolici o luterani, sono ormai ridotti a una minoranza insignificante. Si dice che l’eliminazione di feti con problemi fisici accada nei paesi del terzo mondo, dove esiste addirittura la selezione tra maschi e femmine (le seconde vengono abortite in massa). Invece, secondo quanto pubblica oggi Avvenire, a Treviso, città a lungo retta da sindaci leghisti, nel profondo di quel nord est ricco e agiato, dove i cattolici praticanti sono ancora un numero maggioritario, sette bambini con la sindrome di down su dieci vengono abortiti. Si è toccato il 70% dei casi anche per altri problemi fisici conferma Enrico Busato, direttore dell’unità di ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Treviso. Si continuano a fare figli, certo, rispetto al 2016 nel 2017 il calo è stato di sole 19 unità su 2182 parti.
Ma quando si tratta di figli che, grazie ai test prenatali, dimostrano di avere la sindrome di down, si abortisce. Il primario spiega che i genitori sono terrorizzati di non essere in grado di crescere un figlio del genere, che si sentono soli e abbandonati. Certo, un motivo è questo, non tanto il fatto che il figlio non sia biondo e con gli occhi azzurri, perché la società di oggi, ancor più quella benestante, è fatta di gente sola e che ignora quante possibilità di supporto ci siano per i bambini con handicap. Eppure lo stesso ospedale offre supporto di ogni tipo: psicologico, medico, scientifico, culturale, religioso, dice il medico: «L’azienda di Benazzi e Busato è stata fra le prime in Italia a convenzionarsi con il Movimento per la vita. Si appoggia anche ad un consultorio familiare della diocesi, particolarmente qualificato. Il fatto è che soprattutto le giovani coppie, fragili come sono sul piano valoriale, vivono nel terrore della malformazione. E non la accettano, anche se si manifesta in misura minima». Si è diffusa anche nel mondo cattolico, dice ancora, la mentalità che «se il “giocattolo” non è perfetto allora non vale la pena metterlo al mondo». E così, conclude, di bambini down se ne vedono sempre meno.