C’è un elemento in più, come ha scritto ieri il quotidiano Il Giorno, che forse è stato decisivo nella scelta della Procura di rinviare a giudizio, cioè a processo, Stefano Binda, l’unico accusato per l’omicidio di Lidia Macchi nel gennaio del 1987, in carcere da quasi un anno. E’ una intercettazione ambientale, si legge, in cui si sente la sorella dell’accusato, Patrizia, commentare davanti alle immagini della lettera recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987: “Ma quella è la calligrafia di mio fratello”. La lettera, una poesia delirante intitolata In morte di un’amica, è l’elemento base per mezzo del quale il Binda è stato arrestato, dopo le dichiarazioni della super testimone Patrizia Bianchi, amica ai tempi sia di Stefano che Lidia, che riconobbe anche lei in televisione la grafia dell’indagato. Per l’avvocato difensore le parole della sorella non hanno valore: “Quella frase non prova nulla. È evidente che quando un familiare viene arrestato, con un’accusa gravissima, qualunque cosa diventa sospetta”.