Non chiude, ma si adegua ai tempi che cambiano e allarga gli orizzonti dell’intuizione originaria di Giovanni Paolo II: così Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, interpreta la decisione resa nota ieri di trasformare quello che era l’Istituto su matrimonio e famiglia aperto nel 1982 in Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. “Non è la fede cattolica che cambia, ma la società intorno a noi: da allora sono passati anni luce e sulla questione famiglia le cose sono cambiate in modo inimmaginabile. Non si butta via niente di quanto è stato fatto, ma si apre un approccio biblico con approfondimento dogmatico storico e pastorale, con apertura alle scienze umane. Viene inaugurato un orizzonte più ampio per rispondere alla situazione che viviamo oggi che non è la stessa del 1981”.
Tornielli, perché questa decisione? Che cosa è cambiato tanto da suggerire una “rifondazione” di questo istituto?
Personalmente credo si possa interpretare questa decisione con il fatto che ci sia la necessità di ampliare l’approccio rispetto a questi temi. Tale decisione non è determinata dal fatto che sia cambiata la fede cattolica, ma la determina il fatto che è cambiata la famiglia. Dal 1981, quando uscì l’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, ci troviamo oggi in una situazione che è diversa anni luce da quella di allora. La famiglia in crisi, sfaldata, la società liquida, il processo di secolarizzazione che è andato avanti, problematiche che allora non c’erano.
C’è qualcosa nella precedente dottrina che va aggiornato, è esatto?
Il papa ha deciso semplicemente di rifondare questo Istituto che peraltro mantiene ai propri posti tutti i responsabili che ci sono oggi, mantenendo fedeltà a quello che è sempre stato e al tempo stesso allargando gli orizzonti.
Quali sono i nuovi orizzonti?
Oltre all’approccio alla teologia morale e sacramentale che caratterizzava l’Istituto, ci si apre ora anche a un approccio biblico, dogmatico, storico e pastorale, con maggiori aperture alle scienze umane. E’ un orizzonte più ampio per rispondere alla situazione che viviamo come viene peraltro affrontata nell’esortazione Amoris laetitia.
Al proposito della Amoris laetitia, nella lettera di papa Francesco si dice che essa è il compimento del cammino fatto durante questo pontificato sulla famiglia. Crede che sia anche un modo per dire che tale esortazione è valida in ogni suo punto, compresi quelli al centro dei cosiddetti “dubia”?
No, questa cosa dei dubia non ce la vedo proprio dietro la decisione odierna. I dubia sono focalizzati su una nota di quel testo, si riflette poco – invece – su tutto il resto del documento. Con quella espressione, la citazione di Amoris laetitia, credo che il papa alluda al fatto che si tratta di un documento magisteriale, il frutto di un lavoro collegiale. E’ la sintesi di un concistoro e di due Sinodi dei vescovi, che si fonda sui documenti che da quei Sinodi sono stati approvati dalla maggioranza qualificata dei vescovi che vi hanno partecipato, dopo un lungo percorso che ha portato al coinvolgimento delle Chiese locali. E’ ovvio che gli studi teologici del nuovo istituto partano anche da questo punto: il papa ha lavorato due anni con i vescovi per arrivare ad Amoris laetitia.
Eppure da diversi non viene percepita così…
Bisogna sempre riportare le situazioni alle loro dimensioni reali. Non sono d’accordo, ad esempio, con chi dice che oggi nella Chiesa regni la confusione perché ci sono dieci articoli di giornale o di blog che continuano a ripetere questo quasi come un mantra. La realtà è che nella storia della Chiesa le discussioni e le contestazioni ci sono sempre state. Ci sono dibattiti in corso come sempre, l’idea che nella Chiesa tutto stia crollando è una percezione della realtà costruita in maniera molto parziale.
Se c’è questa percezione, secondo lei potrebbe succedere che adesso qualcuno dica che si sta tradendo quanto fatto da Giovanni Paolo II? Se c’è qualcuno che ha tenuto conto della storia nella vita e nella fede dell’uomo è proprio lui, con il suo approccio personalistico.
Queste persone che lo dicono ci sono già. Certo che Wojtyla è stato un papa immerso nella storia, ma sono passati 36 anni dall’esortazione Familiaris consortio e sono cambiati la società, il mondo e la famiglia. Non so oggi come reagirebbe san Giovanni Paolo II davanti alla realtà attuale, ma abbiamo un papa legittimamente eletto che riflette sui cambiamenti e indica delle vie per annunciare il vangelo della famiglia. Il cristianesimo è un avvenimento nella storia non può esser slegato dalla storia, è una tradizione che si rinnova continuamente e si rinnova cercando di essere sempre più fedele all’origine.
La Chiesa è “reformanda” per natura, è questo che intende?
In duemila anni di storia della Chiesa a quante evoluzioni nella dottrina sacramentale abbiamo assistito? L’idea che uno possa fotografare un momento nella vita della Chiesa e dire è “la Chiesa di sempre” e ogni cambiamento millimetrico non è ammesso, semplicemente non appartiene alla tradizione cattolica. La Chiesa è sempre stata riformata, sono stati pronunciati nuovi dogmi. Pensiamo soltanto al fatto che un tempo ci si poteva confessare una sola volta nella vita. Lo stesso Giovanni Paolo II nel 1981, proprio in considerazione dei tempi cambiati, aveva introdotto una prassi nuova, mai accettata fino ad allora: due persone divorziate che vivono in una seconda unione potevano continuare a vivere insieme e fare la comunione purché si impegnassero a vivere astenendosi da rapporti sessuali.
(Paolo Vites)