Siracusa, è già estate. “Ciao mamma, vado in piscina”. Chiamiamola Maria, ha 13 anni, fa nuoto sincronizzato. Non torna più a casa. La cercano, la chiamano, non risponde. Viene buio, si affaccia la notte. Le sue amiche di scuola e di sport non sanno nulla. La paura, l’angoscia, con tutto quel che succede, i fantasmi di troppi brutti episodi di nera.
Maria la trovano stamattina, a Paternò, da mamma, papà e fratellino. Adottata quattro anni fa, felicemente accasata nella sua nuova e buona famiglia, Maria aveva nostalgia delle radici. Non c’è stata una decisione sbagliata dei servizi sociali, del Tribunale dei minori. Non sappiamo perché la ragazzina, ancora bimba a nove anni, sia stata allontanata dalla famiglia d’origine, ci saranno stati certo buoni motivi. Non la trattavano bene, non potevano prendersi cura di lei, avevano pendenze giudiziarie, avevano ombre sulla loro vita?
Non lo sappiamo, non dobbiamo saperlo, e non è importante. Maria infatti non ha alcuna intenzione di tornare indietro, di ricusare i genitori adottivi, che le devono volere un gran bene. Maria aveva nostalgia, dolore del ritorno, significa, quel grumo in fondo al cuore che ti fa cancellare ogni ricordo cupo, ogni pensiero triste, ogni giustificazione, e ti fa correre per abbracciare chi, forse, ti ha fatto del male, chi, forse, non era in grado di crescerti come dovrebbe crescere una ragazzina.
Non pensiamo che Maria sia stata strappata ai suoi genitori biologici per motivi futili o per un errore di giudizio. Non ci piace quest’espressione, “genitori biologici”, anche se è corretta: c’è una freddezza in quell’aggettivo che fa pensare a un manuale scientifico, non alla carne e al sangue che ti hanno dato alla vita. Si genera fisicamente, si genera con l’educazione, con l’amore. Si è genitori in modo diverso, e sarebbe bello e giusto che le due modalità di generare andassero insieme. Ma quel che è stato custodito per nove mesi in un grembo non si dimentica, i primi baci, i primi sguardi, che ci devono pur essere stati, non si estirpano per legge.
E’ così naturale e commovente il viaggio di questa piccola donna, che per crescere ha bisogno di sapere di chi è. Per crescere ha bisogno forse di capire, di toccare con mano, per poter ripartire con lo slancio della sua prima adolescenza, accanto a chi ha promesso di amarla per sempre. C’è da chiedersi se sia normale dividere due fratelli, se il secondo potesse essere accudito meglio, cosa sia cambiato di così essenziale in questi quattro anni. Si studierà il caso, si capirà. Ma non è così importante, per Maria: in questura, il mattino dopo la sua breve fuga, ha trovato mamma e papà, quelli di Siracusa, che le han dato un bacio, felici. Che non le fosse successo niente, che avesse voglia di riabbracciarli ancora. E Maria ha tratto un sospiro di sollievo: che bravi sono, hanno compreso, mi vogliono così bene da amare anche la mia folle libertà, mi spiace che siano stati in pena per me, ma io avevo bisogno di vedere, di sentire quell’odore di casa, accertarmi che mio fratello stia bene.
E’ così umano il desiderio di Maria, così struggente la gratuità di papà e mamma. Gli uni, i primi, che se la sono vista riprendere e portar via (avevano avvisato? Erano consapevoli che per quella figlia perduta c’era chi tremava?): lasciar andare è doloroso, bisogna chinare il capo, chiedere perdono e perdonarsi. E gli altri: con che trepidazione avranno riaccolto quella loro figlia entrata in casa già grande, quante preoccupazioni e timori, e ora il dubbio sottile, inquietante: lo farà ancora? Non sta bene con noi? E’ sincera? Abbiamo sbagliato?
Anche qui, bisogna lasciar andare: la considerazione di sé, di essere giusti, a posto, le troppe domande. Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce. Amare significa accettare e ripagare con un di più d’amore anche le ferite. Maria non è dei suoi primi genitori, né sei secondi: a entrambi è stata donata, sarà loro chiesto che han fatto di quel dono. Maria ci insegna però che l’utero non è intercambiabile, che conta pur qualcosa. Che siamo tessuti nel seno di una madre, per quanto indegna sia, madre per sempre.