— Che sia caldo o freddo, che l’economia prosperi o languisca, che il paese sia in guerra o in pace, oppure che — come capita quest’anno — si sia nel mezzo di una campagna elettorale “aspra-tendente-al-feroce” poco importa: oggi c’è il Super bowl! Ha cinquant’anni, è sopravvissuto alla guerra del Vietnam ed alla bolla finanziaria, sopravviverà ad Hillary, Bernie, Donald, a tutto il circo della politica ed anche a questo tempo ballerino tra giornate primaverili e bufere di neve. E comunque si gioca a San Francisco, dove la neve non sanno neanche bene cosa sia.
Non vi do le statistiche (tipo quante piscine olimpioniche riempiremmo con la birra che si berrà quel giorno — che comunque sarebbero oltre 500) perché sennò si finisce a scrivere sempre le stesse cose più di quanto già non si faccia. Mi limito a dire che domenica tutti — and I mean “tutti” — almeno un’occhiata alla finalissima dell’American football la daranno. C’è chi lo guarderà perché tiene ad una delle due finaliste (Denver Broncos e Carolina Panthers), chi per puro amore dello sport, chi per vedere i commercials, le pubblicità televisive (storicamente fantastiche), chi aspetterà l’Half Time Show con Coldplay e Beyoncé, chi per trascorrere un po’ di tempo con gli amici, chi per mangiare e bere gratis in compagnia… Tutti lo guarderanno… un po’!
A spanne mi verrebbe da dire che la partita da cima a fondo se la sorbirà uno ogni venti. Forse neanche. Se poi la partita è noiosa… Quelli — intendo i giocatori — continueranno a sbattersi dall’inizio alla fine come macchinine dell’autoscontro, ma l’esito della battaglia campale può risultare barbosetto anzi che no. Per tutti tranne che per i tifosi sfegatati dei contendenti. Quelli — intendo i tifosi sfegatati — staranno sulle spine dall’inizio al fischio di chiusura. Io? La guardo “quasi” tutta, e apro pure le porte di casa (non che di solito siano chiuse) per ospitare un piccolo “Superbowl party”. In passato abbiamo avuto fino ad una cinquantina di intrusi al 174 di Senator Street, ma quest’anno ho raffreddato gli animi e me ne aspetto meno della metà. Spero… Insomma, per darvi un quadro sintetico della condizione umano-sportiva-nazional-popolare diciamo che questo weekend ruota tutto attorno al Superbowl, tutto è programmato, pianificato, organizzato in funzione di questo evento. Rispetto poi al guardarlo sul serio, beh, questo è tutt’altro discorso. Cosa ci volete fare, qui siamo fatti così. Sarà perché di occasioni per socializzare non ce ne abbiamo tante, sarà perché questa è una grandissima opportunità per mangiare e strabere senza sentirsi particolarmente in colpa, sarà perché si può smettere di pensare (sempre che qualcuno sia ancora in grado di farlo) ma, insomma, l’attesa è grande. Stile “Sabato del Villaggio”: la vigilia supera alla grandissima l’evento stesso.
L’imminenza del Superbowl mi fa venire alla mente la polemica venuta fuori rispetto alle “nominations” per gli Oscar. Sapete, gli afro-americani che si lamentano di non essere adeguatamente rappresentati. Il mio primo pensiero era stato… Ué, la prossima volta cercate di fare qualcosa di meglio che magari qualche nomination la portate a casa… Poi, preparandomi al Superbowl, ho pensato che anche noi bianchi dovremmo rivendicare il nostro diritto ad essere rappresentati. Perché di caucasici al Superbowl o alle finali Nba se ne vedono pochini.
Non funziona così? Ah…
Vabbè, lasciamo stare e prepariamoci come si deve al Superbowl.