Gli sbarchi continuano senza sosta. Ieri la nave Bourbon Argon di Medici senza frontiere ne ha fatti scendere altri 592 (di cui 464 uomini, 119 donne e 9 bambini) al porto di Palermo, altri sono stato sbarcati nei porti di Messina e di Augusta, per un totale di quasi duemila persone arrivate in Italia nelle ultime ore. L’altro ieri due economisti palermitani, Carlo Amenta e Paolo Di Betta, e un magistrato della Dda di Palermo, Geri Ferrara, hanno presentato a Cambridge uno studio che si concentra sui flussi in arrivo dal 2011 fino ai primi mesi del 2016. Un giro d’affari illecito da 60 milioni di dollari l’anno che sta portando in Italia in media 312 migranti in più al mese rispetto all’anno scorso. “Le operazioni militari di pattugliamento del Mediterraneo — dice l’indagine —, sia Mare nostrum, con esplicite finalità di contrasto e salvataggio, che quelle seguenti, con finalità dichiarata solo di contrasto, hanno aumentato gli arrivi dei migranti in Italia”. Le partenze di profughi dalla Libia invece avrebbero accusato un rallentamento, nel complesso, dalla morte di Gheddafi, a motivo del caos che regna nel paese e dunque nei punti di raccolta e di partenza, con la conseguenza di moltiplicare le rotte alternative. Ne abbiamo parlato con mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente emerito presso l’Onu di Ginevra e oggi membro del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax.
Mons. Tomasi, l’Italia si trova a fronteggiare da sola un’emergenza migranti senza precedenti, con 100mila persone arrivate nel 2015 e 40mila dall’inizio del 2016. Come reggere ad arrivi così massicci?
Gli arrivi massicci di richiedenti asilo dal Medio Oriente e dall’Africa suscitano paure e reazioni populiste che oscurano il panorama politico mettendo a rischio il cammino verso un’unità europea che non sia solo di funzionalità economica. In Italia, i settori pubblico e privato stanno facendo molto per accogliere e salvare vite nel Mediterraneo. Ma rimangono interrogativi preoccupanti sulla continuità degli arrivi e la relativa gestione degli stessi. L’Italia come gli altri Paesi europei ha l’obbligo legale di rispettare i trattati firmati, come la Convenzione sui rifugiati, ed accogliere coloro che rientrano in tale categoria. Non dimentichiamo che un richiedente asilo è colui che è costretto a lasciare il proprio Paese di origine per ragioni di persecuzione e rischi di vita a causa dell’appartenenza ad un gruppo religioso o etnico o politico.
Ma c’è solo l’obbligo legale?
Certo che no. Oltre al mero obbligo politico vi è anche un obbligo morale di accogliere chi si trova a rischio: siamo tutti membri della stessa famiglia umana. Per evitare il collasso del sistema internazionale di protezione dei rifugiati e dei migranti, se non per solidarietà umana, l’Italia non può essere lasciata sola. Egoismi nazionali non debbono bloccare una concreta partecipazione nel risolvere l’emergenza attuale, secondo gli stessi principi e valori di un umanesimo solidale che l’Unione Europea proclama.
Gli sbarchi in Italia sono aumentati anche in seguito al fatto che l’accordo Germania-Turchia ha chiuso l’altro varco di accesso. E’ giusto che l’intero peso del fenomeno migratorio si sposti sull’Italia? Questo cosa implica a livello europeo?
I flussi migratori non cesseranno molto presto. Se si chiude una via di scampo a chi cerca sopravvivenza, questi ne troverà un’altra. La storia insegna che muri e fili spinati non hanno mai fermato il movimento di popoli. A parte l’ambiguità dell’accordo Germania-Turchia, due passi efficaci potrebbero essere fatti dall’Unione Europea.
Quali secondo lei?
Il primo è la creazione di corridoi umanitari sicuri, che non escluderebbe il rinvio di chi non ha titolo per essere accolto come rifugiato o l’equivalente. Il secondo è un lavoro concertato per la prevenzione dei conflitti e l’eliminazione dell’estrema povertà. Mi pare poco coerente che si collabori a destabilizzare un Paese e poi rifiutare di assumere la responsabilità per le conseguenze.
Come valuta il modo in cui il governo italiano sta gestendo l’emergenza migranti?
Le iniziative prese dal governo italiano per dare una risposta umanitaria adeguata, mettendo a disposizione locali e provvedendo cibo, sono encomiabili. Il principio di salvar vite, anzitutto, deve continuare ad essere rispettato. Ma non si ricorra adesso ad espedienti come gli hotspot che rendono poco praticabile il diritto internazionale dei richiedenti asilo ad essere ascoltati ed aiutati a presentare il loro caso.
Il segretario della Cei Nunzio Galantino di recente ha criticato gli hotspot proposti dal governo italiano. Alfano gli ha risposto che lui faceva “il ministro dell’interno” e che non si poteva “accogliere tutti”. Lei che ne pensa?
D’accordo che l’Italia non può accogliere da sola tutti coloro che bussano alle porte dell’Europa, la cui credibilità è chiaramente in gioco davanti a questo fenomeno. Ma se il ministro voleva dire che la “ragion di Stato” deve prevalere sul diritto umanitario e sugli accordi sottoscritti a riguardo dei rifugiati, mi pare che siamo fuori strada. L’invito alla solidarietà, a lungo andare, è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa e del loro invecchiamento demografico.
Chi è meta di arrivi come l’Italia vuole cambiare Dublino, gli altri si guardano bene dal farlo. Cosa fare? Come agire? La situazione è destinata a rimanere bloccata?
L’eccezionalità del movimento attuale di popolazioni mi sembra esiga un’interpretazione congrua dell’accordo di Dublino che attualmente scarica sui soli Paesi di primo approdo l’onere e la responsabilità di esaminare le domande d’asilo e di rimpatriare i così detti migranti economici. Le migrazioni sono un fenomeno globale e la loro governance dovrà essere globale e regionale. Purtroppo la questione del ricollocamento rimane un po’ lettera morta. Interessi di vantaggi politici immediati ed egoismi legalizzati continuano a prevalere sul vero bene comune. Certo, si dovrà allargare il dibattito dall’accoglienza all’integrazione per sfatare paure e chiarire equivoci. Ma senza una politica di immigrazione che guardi al di là delle emozioni del giorno e coinvolga Paesi di partenza, transito e destinazione avremmo polemiche inutili e divisioni più laceranti.
Di fronte all’emergenza migranti, l’Onu si sta rivelando ancora una volta incapace di dare risposte. Perché?
L’Onu è tanto forte quanto gli Stati che la compongono. Le varie agenzie che si occupano del dossier migrazioni fanno fatica a cedere il loro interesse in materia ad un ente più efficiente che governi tale processo. Parliamo di fatti di uno dei fenomeni strutturali della modernità. Il prossimo 19 settembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite terrà un incontro ad alto livello per affrontare i grandi movimenti di rifugiati e migranti di oggi. Il risultato potrebbe essere un altro passo in avanti nella ricerca di una governance più coordinata e razionale del fenomeno. Non ci sarà progresso, tuttavia, se una cultura della solidarietà non prevarrà sugli interessi economici e sui conflitti violenti.
C’è il rischio che i nuovi arrivi modifichino gli equilibri sociali all’interno del nostro Paese?
Un bambino su cinque che nasce in Italia ha almeno un genitore straniero. In un Paese che invecchia rapidamente i nuovi arrivi hanno un peso significativo nel determinarne il futuro. Il contributo demografico dell’immigrazione è un apporto positivo all’economia nazionale, allo sviluppo di nuove piccole imprese, al sistema pensionistico. Ma le persone che arrivano e diventano nuovi cittadini non sono solo lavoratori e consumatori di beni; sono persone con una cultura, convinzioni politiche e religiose, con aspirazioni e progetti. Il dialogo con i nuovi italiani ed una politica che sostenga la loro partecipazione alla vita del Paese diventano strumenti indispensabili per costruire un futuro comune di convivenza serena e pacifica.
La Chiesa è pronta ad affrontare la sfida di una società italiana con una percentuale sempre più elevata di musulmani per l’arrivo dei nuovi migranti? Questo cosa implica, a livello pastorale e culturale?
Le società moderne sono diventate pluraliste con una graduatoria più o meno alta nella loro varietà di religioni, stili di vita, espressioni culturali. Come relazionarci all’altro diventa una domanda cruciale specialmente nel contesto religioso e delle convinzioni profonde che toccano l’identità personale e comunitaria. Per le democrazie occidentali, la presenza di milioni di persone di fede islamica richiede una riflessione approfondita, competente e rispettosa in particolare per quanto riguarda la separazione tra religione e politica e la libertà di coscienza.
In concreto?
La via del dialogo e della conoscenza reciproca rimane la strategia pastorale più efficace. Allo stesso tempo, mi pare legittimo che le società di accoglienza richiedano ai nuovi arrivati l’accettazione di alcuni valori fondamentali come la libertà di espressione, di religione e di scelte politiche, l’uguale dignità dell’uomo e della donna, il diritto a cambiare religione, che rendono la convivenza possibile. La Chiesa poi, nel rispetto della libertà di ogni cittadino, avrà la possibilità di proporre il suo messaggio.