Gentile ministro Orlando,
Le scrivo perché è rimbalzata ovunque la notizia degli agenti di polizia penitenziaria che sui social network hanno esultato per la morte di un detenuto, definendo feccia coloro che dietro le sbarre vi sono ancora.
Indignano le affermazioni riportate dai media, ma quando il clamore mediatico tace, quando nella quotidianità il lavoro degli agenti procede, e con esso la vita dei detenuti, la situazione è forse migliore di questo momento?
Lei ha appena permesso che un’eccellenza in questo settore, un’opportunità che per anni ha reso pienamente UOMINI i detenuti, gli operatori esterni e gli agenti incaricati alla sorveglianza, potesse essere schiacciata e distrutta con un colpo di decreto.
Lei ha appena fatto morire una decina di esperienze in cui i detenuti non erano per niente considerati una feccia ed anzi avevano l’occasione di poter guardare a se stessi in modo nuovo e vedersi lavoratori, portatori di utilità e di bene, oltre che di un salario.
Le carceri italiane non sono degne di un Paese sviluppato e gli agenti di polizia penitenziaria lavorano ogni giorno nelle condizioni di una precarietà imbarazzante per uno Stato che vuol definirsi civile e all’avanguardia: si continua a parlare di recidiva eccessiva, di incapacità dei detenuti a migliorare la loro posizione e come soluzione non si ha loro da offrire che una cella sovraffollata, condizioni igienico-sanitarie per niente dignitose, rapporti con i familiari difficilissimi da gestire e ridottissimi per numero e ore a disposizione?!
Se a questo aggiungiamo anche che in tutta la pubblica amministrazione (anche nelle scuole statali in cui io insegno) la formazione del personale, in ingresso e in itinere, si rivela molto spesso insufficiente o inadeguata al contesto in cui poi si va a lavorare, ecco allora spiegato perché oggi io mi sento assolutamente indignata per quel che gli agenti hanno scritto, ma per nulla stupita.
Da dove iniziare a mettere ordine? Come aiutare l’opinione pubblica a condannare e a non condividere quanto apparso sui social network?
A Lei è affidato il compito di trovare una strada, ma un consiglio io mi sento di darglielo: sostenga e non uccida quelle esperienze virtuose in cui il detenuto si sente accompagnato, accolto, risollevato dal baratro in cui si è buttato. Metta mano al sistema carcerario e trovi una soluzione al sovraffollamento e alle condizioni non dignitose in cui gli agenti lavorano e i carcerati vivono.
Guardi e insegni a guardare ad ogni detenuto come ad un uomo, che si è perduto lungo una strada di errori spesso dolorosi e portatori di un grande male, ma che può sempre riprendere il cammino e fare della propria esistenza un’avventura meravigliosa per sé e per gli altri, dentro o fuori dalle sbarre.
Buon lavoro,
Giuditta B.