La storia riserva, per chi la studia con desiderio di apprendere e di ricordare, delle cose orribili. Ci sono realtà volutamente nascoste dalle accademie ufficiali, come lo scambio di prigionieri ebrei sul fiume Bug (quando scoppia la seconda guerra mondiale) tra sovietici e nazisti allora legati dal patto Molotov-Ribbentrop. Il grande regista americano John Houston era il militare incaricato di filmare la “macelleria messicana” (parole di Ferruccio Parri) di piazzale Loreto e i primi piani del volto di Claretta Petacci, tumefatto per i calci ricevuti una volta morta, ti fanno vergognare di appartenere al genere umano. La linea tra “buoni e cattivi” è molto più sottile di quanto si possa immaginare.
Per un laico, molto lacunoso se non quasi analfabeta in teologia, è difficile trovare una spiegazione alla realtà del male che fa parte della storia degli uomini. Ma la stessa storia forse ha davvero un’ironia nascosta e grandiosa, perché a una certo punto della vita scopri l’irruzione nella storia di un uomo, Gesù Cristo, che annuncia la misericordia, il perdono, la comprensione. E’ l’unica rivoluzione più convincente e più coinvolgente nella lunga storia dell’umanità, anche perché non è una predica moralistica, ma quasi un invito a rispondere alla tua ricerca disperata di quello che desideri e che tenti di realizzare e raramente, se non mai, riesci a compiere.
Puoi trovarlo o non trovarlo Gesù Cristo, ma con quel suo messaggio devi fare i conti. Sempre.
Si può scantonare come si vuole, ma la vita ti porta sempre a scandire le tappe obbligate della tua esistenza con la presenza della Chiesa fondata da Cristo, anche quando la rinneghi.
Uno scrittore scomodo, Leonardo Sciascia, ribattezzato il “Voltaire italiano”, quando scoprì di avere un cancro incurabile e raro, si ricordò del tragico suicidio di suo fratello e poi scandì una frase che qualcuno non dimenticò mai: “Quando morirò nessuno faccia strane congetture. Mi portate in Chiesa e mi fate il funerale cattolico. Perché? Perché così si fa”. Con tutto il suo pessimismo e il suo laicismo spesso irridente, era conscio di appartenere a una storia che non voleva abiurare.
La Chiesa di Cristo è un riferimento grandioso e universale ed è aperta a tutti.
C’è ad esempio chi ha rivisto don Luigi Giussani dopo anni e si è rimesso a parlare con lui di economia, di politica e di Dio. E magari erano passati decenni che non frequentava, come capita sempre più spesso, una funzione liturgica.
La premessa serve a spiegare l’amaro stupore di fronte alle insinuazioni di terz’ordine fatte da esperti in retroscena da strapazzo che si svolgono all’interno della Chiesa.
Quando leggi ricostruzioni di conclavi, dove una maggioranza non è riuscita a prevalere e a far tornare i “suoi conti” e tornaconti, dal Papa al politico di un territorio, passando per le canonizzazioni, ti cascano le braccia.
In fondo, l’attacco fatto lunedì scorso da un retroscenista vaticanista che tira in ballo addirittura nel suo delirium tremens don Giussani, è solo l’ultimo atto di un adepto alla rete moralistica che vuole una Chiesa frequentata da poche persone, da pochi intimi appunto, che spreca parole sulle “questioni morali” e non cerca di aiutare l’attuale società, confusa e abbandonata, a ritrovare la strada della comunità che costruisce insieme, che vive il più possibile insieme e che cerca di formare la nuova persona del futuro, tra errori e buone azioni, in un confronto continuo con tutti.
L’importante per la “setta moralistica” sono i valori astratti, le accuse, la scoperta di complotti, l’autoreferenzialità superiore rispetto al popolo reale. Ma perché questi campioni di moralità non vanno a vedere uno “spettacolo della carità” come il giorno della colletta del Banco alimentare? Forse perché in quei posti ci vanno anche i miscredenti o quelli che sono mossi solo da un genuino sentimento di solidarietà?
Alla fine nessuno vuole dare un giudizio affrettato sugli altri. Ma sia concesso ricordare il valore della Chiesa oltre le beghe di improvvisati polemisti, devoti o non devoti, in un momento di grande sbandamento sociale.
Una ragazzina di sedici anni, lo scorso settembre, ascoltava e vedeva il Papa parlare alla domenica dalla finestra del Vaticano. Chiedeva: “Papà è come in televisione. Anzi è meglio”. Incuriosita, ripeteva quello che banalmente aveva sentito dire: “Ma il Papa è di destra o di sinistra?” Il padre rispondeva imbarazzato: “A me sembra un papa che parla con il vero Padre di tutti noi”. La ragazzina sorrideva felice: “Che bello, deve essere proprio così”.