Una ragazza 15enne di Foggia va a scuola e riceve spari in pieno volto da Antonio Di Paola, l’ex compagno 37enne della madre. La ragazza ora è in fin di vita e il corpo dell’uomo, suicida, è stato trovato senza vita qualche ora più tardi.
La ragazza è stata colpita mentre stava andando a prendere il pullman che l’avrebbe portata a scuola e le forze dell’ordine hanno subito concentrato i sospetti sull’ex compagno della madre della vittima. L’uomo infatti che avrebbe sparato per vendetta perché la donna lo aveva lasciato. Probabilmente voleva sapere dove fosse la madre e, al rifiuto della ragazza di rivelarne l’ubicazione, le ha sparato.
Da qualsiasi parte la rivolti questa storia è tutta terribile. Un altro tentato femminicidio. Che, rispetto agli ultimi recenti ha, se possibile, qualcosa di ancora più oscuro e vile: visto che non posso colpire te che sei la mia ex-compagna, colpisco la parte più fragile e amata di te: tua figlia. Colpisco cioè il tuo futuro, le tue speranze, i tuoi sogni. Perché per una madre la figlia e il figlio sono la speranza d’eternità per eccellenza: una madre può anche morire ma vivrà sempre in suo figlio, in sua figlia. Lavora per loro, per il loro futuro meraviglioso. Ricco. Vive e lotta per costruirlo ogni giorno.
Di quest’uomo non voglio ripetere il nome. Perché il nome dà dignità e costui non la merita. Perché non solo ha tentato di uccidere ma lo ha fatto due volte. Perché non solo ha sparato ad una ragazza inerme, ma lo ha fatto per colpire quella donna che non poteva più avere. Da notare che la furia si è scatenata quando la ragazza, con la mitezza guerriera tipicamente femminile, ha detto: “No, non te lo dico dov’è la mamma!”. Era giovane, indifesa, spaventata ma non tanto da non comprendere il rischio che avrebbe corso la madre. Giovane ma abbastanza adulta da sapere che una donna non è un oggetto in balia di un uomo che presume di avere il diritto di sapere ogni momento con chi è, dov’è e cosa fa. È stato un vile, violento e brutale atto contro un’adolescente che ha nel cuore tutto l’eroismo che solo l’amore può dare. Ora speriamo che questa giovane ce la faccia. Che sconfigga anche il pericolo della morte che sta correndo perché è in condizioni critiche. Speriamo che la madre possa nutrirsi in futuro del coraggio della figlia per starle accanto e non perdere la speranza.
Le cose dure che ho scritto hanno preso forma sotto le mie dita mentre è arrivata la notizia del suicidio di Antonio Di Paola. Ho deciso di non cambiare nulla perché non dobbiamo cadere nella trappola del buonismo. Suicidarsi non è un rimedio quando si sbaglia: è un tentativo spesso dispotico di farsi perdonare. Il suicidio — al netto della malattia psichiatrica — non solo non è un sano grido di dolore ma rischia di essere un’enorme, ulteriore violenza fatta a chi si dice di amare e che rimane vivo. Ripeto che faccio la mia affermazione ipotizzando che nel suicida ci sia sanità mentale e forse un medico dirà che non è possibile. Ma se fosse possibile, lo ripeto: non facciamoci ingannare dalla finta bontà di chi si suicida per confondere il proprio sangue con quello della vittima.