Poco a poco tutti i nodi vengono al pettine. Questo “principio generale”, di universale applicazione, ha finito per investire anche il fenomeno del c.d. “turismo riproduttivo”, ossia il flusso di cittadini italiani che, al fine di eludere i limiti di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita introdotte nel 2004 dalla Legge n. 40, accedono a pratiche di concepimento offerte da centri ubicati nel territorio di stati muniti di legislazioni più “liberali”.
Ha destato un certo clamore mediatico infatti la sentenza con cui il Tribunale Penale di Milano, in primo grado, si è pronunciato sul caso di una coppia di coniugi italiani, A.C. e S.B., incappati nella rete dell’autorità inquirente nazionale dopo aver ottenuto presso gli Uffici dell’Anagrafe del Comune meneghino la trascrizione dell’atto di nascita, avvenuta a Kiev (Ucraina) nel 2010, di G.C., nel quale risultavano indicati rispettivamente quale padre e madre. Come si apprende dalla lettura della motivazione della sentenza, dal momento che S.B. risultava affetta da una malattia autoimmune che l’aveva costretta al ricorso a terapie farmacologiche di ostacolo al concepimento, insieme al marito A.C. aveva sperimentato inutilmente negli anni in Italia il ricorso a tecniche lecite di procreazione medicalmente assistita. Quando però, una volta subentrata la menopausa, ormai cinquantenne, dopo quasi trent’anni di inseguimento della condizione di maternità, la donna aveva goduto di una rimessione della malattia, aveva nel contempo deciso con il marito di ricorrere alla fecondazione eterologa, tecnica fruibile solo all’estero, essendo vietata in Italia dall’art. 4 comma terzo della L. 40/2004.
Dopo aver rivolto in un primo momento la propria attenzione agli USA, la scelta della coppia nell’ottobre 2009 era caduta su di un centro operante in Ucraina, la Biotexcom, dove, avendo ottenuto la donazione di un ovulo da una donatrice, fecondato con un gamete proveniente da A.C., affittato l’utero di un’ulteriore “volontaria”, cui corrispondevano a titolo di “rimborso spese” la modica somma di euro 30.000 – in un paese in cui il salario medio mensile lordo è pari a circa euro 120 – ottenevano la nascita di G.C.
Il Tribunale di Milano, chiamato a vagliare la liceità penale non del ricorso alla procreazione eterologa, bensì della formazione dell’atto dello stato civile di nascita di G.C., tacciato di falsità dell’autorità inquirente italiana in quanto riportante la menzione di S.B. quale madre del bambino, con conseguente integrazione del reato di “Alterazione di stato” ex articolo 567 secondo comma del codice penale, ha concluso per la liceità della condotta, sulla base del condivisibile rilievo secondo il quale l’atto di nascita era stato formato in Ucraina conformemente alla legislazione nazionale di quello stato. Lo stesso Tribunale, pur ritenendo comunque consumato da parte dei coniugi il diverso reato di “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su una qualità personali proprie e di altri” (art. 495 c.p.), in relazione ad alla vicenda accessoria legata alla richiesta di trascrizione dell’atto agli atti dello stato civile di Milano avanzata presso l’autorità consolare italiana, ne ha poi comunque escluso la punibilità in difetto di una condizione di procedibilità, ovvero della richiesta da parte del Ministero della Giustizia (art. 9 c.p.), trattandosi di reato comune commesso da cittadini italiani all’estero.
Non si comprende invece la ragione per cui né la Procura della Repubblica, mediante l’esercizio dell’azione penale, né il Tribunale, abbiano rilevato la palese violazione da parte dei coniugi A.C. e S.B. del divieto di realizzazione e organizzazione di surrogazione di maternità, delitto previsto dall’articolo 12 sesto comma della L. 40/2004 e sanzionato con la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa da 600.000 a un milione di euro. Con ogni evidenza, come risulta infatti dalla lettura della sentenza, infatti, il ricorso alla surrogazione di maternità rappresentava condotta già concordemente ideata dai coniugi nel territorio italiano, e come tale da ritenersi consumata in Italia alla stregua della comune interpretazione attribuita dalla giurisprudenza all’articolo 6 del codice penale, con conseguente procedibilità dell’azione penale a carico di A.C. e S.B. per tale ipotesi di reato.
Sin qui la vicenda penale. Ciò che offre spunto ad ulteriori valutazioni è la circostanza per cui il giudice penale – accedendo ad una cattiva prassi ormai ahimè assai diffusa nella giurisdizione italiana – senza alcuna necessità ai fini della decisione e in modo creativo, si è spinto ad argomentare sulla natura dell’ordine pubblico, interno o internazionale, quale limite alla trascrivibilità dell’atto di nascita formatosi all’estero, materia la cui trattazione meriterebbe un commento a sé, anche alla luce del pericolo cui ci si esporrebbe accedendo alla tesi fatta propria dal giudice penale. Questi infatti, facendo propria la tesi della trascrivibilità degli atti dello stato civile formatisi all’estero in conformità alla normativa straniera, con il solo limite dell’ordine pubblico internazionale, sembra inevitabilmente – non si sa quanto consapevolmente o meno – aprire le porte all’ingresso nell’ordinamento italiano di istituti ad esso estranei, se non esplicitamente vietati, avallando così la facile elusione della normativa dello stato italiano e sottraendo questioni di considerevole pregnanza etico-sociale al dibattito politico-democratico.
Resta poi da chiarire – con riferimento al caso specifico in esame – ad oggi quali siano i genitori del minore G.C. secondo la legge italiana, essendo questa la legge del figlio, cittadino italiano, all’atto della nascita, ai sensi dell’art. 30 l. 218/95, dal momento che la madre biologica ucraina, per espressa previsione della sua legge, può scegliere di non essere nominata. Secondo la legge italiana, infatti, madre è colei che partorisce il figlio, come si deduce chiaramente dagli art. 232 c.c. e 269 c.c., e pertanto non può essere considerata quale madre la c.d. “madre sociale“, ossia la moglie del padre biologico. E’ lecito quindi attendersi che il P.M di Milano promuova azione per la rettifica dell’atto di nascita del bambino ai sensi dell’art. 95 dpr 3.11.2000, facendo emergere la verità dell’atto, ossia il riconoscimento del figlio da parte del solo padre biologico, mettendo così in condizione il figlio di poter avere una corretta conoscenza delle proprie origini.
La madre “sociale” potrà poi richiedere al Tribunale per i minorenni di adottare il figlio del coniuge ai sensi dell’art. 44 lett. a) della l. 184/83, ricorrendo alla c.d. “adozione speciale”, dando però prova delle proprie capacità genitoriali e sottoponendosi al vaglio giudiziale della relazione esistente tra la stessa, in età peraltro avanzata, ed il minore. In una adeguata valutazione dell’interesse del minore, quindi, all’esito di tale complesso iter giudiziario, si potrebbe giungere a individuare la “madre sociale” quale “madre adottiva”, nel rispetto da una lato della realtà naturale e biologica e della verità e dall’altro del diritto del minore a conoscere le proprie origini.
A tale conclusione si oppongono talune recenti pronunce giurisprudenziali che, traendo spunto dalla lettura dell’art. 9 della l. 40/2004, che, nel regolare la materia della procreazione medicalmente assistita, vieta al padre di disconoscere il figlio e alla madre di chiedere di non essere nominata nell’atto di nascita, attribuiscono prevalenza al dato volitivo di assunzione della responsabilità genitoriale rispetto al dato biologico e pertanto, concludono per il riconoscimento dello stato di madre alla “madre sociale”.
Nel supposto prevalente interesse del minore ad avere un genitore (indipendentemente da chi esso sia) tale orientamento giurisprudenziale attribuisce quindi rilevanza preminente all’atto volitivo dell’adulto che, ricorrendo a tecniche medicalmente assistite vietate in Italia, vuole ottenere un figlio ad ogni costo, a dispetto del dato biologico naturale e della verità. E’ evidente come, se dovesse prendere piede un simile indirizzo ermeneutico, l’Italia si troverà costretta ad adeguarsi ad ogni mutamento della “realtà sociale internazionale”, correttamente o idealmente percepito dalla giurisprudenza: si intuisce sullo sfondo, ad esempio, in un futuro assai prossimo, la possibilità di trascrizione dell’atto di nascita di un figlio di genitori omosessuali ricorrenti alla maternità surrogata, pratica in alcuni ordinamenti già possibile e lecita. Il diffondersi stesso di opinioni giurisprudenziali che evidenziano e premiano l’atto volitivo dell’assunzione di genitorialità rispetto al dato biologico entrano indubbiamente a gamba tesa nella cultura giuridica del nostro paese, giocando scorrettamente d’anticipo sul legislatore e sulla sovranità popolare che attraverso ad essa è chiamata ad esprimersi.