Gli attacchi dei “Black Blocks” e di altri gruppi neo-anarchici insurrezionali contro gli operai al lavoro nel cantiere della TAV a Chiomonte in Val di Susa (Torino) e contro le forze di polizia che presidiavano ieri il luogo in loro difesa implicano due ordini di commenti. Si tratta da un lato di prendere atto che in Italia e nel resto d’Europa si registra la presenza appunto di gruppi neo-anarchici insurrezionali che sono pronti a cogliere qualsiasi caso rilevante di scollamento tra umori popolari e classe politica per provocare eruzioni di cieca violenza.
A questi gruppi non importa in ultima analisi quale sia la posta in gioco. L’altro ieri erano le riunioni del G8, ieri il progettato ampliamento della base americana a Vicenza, oggi la TAV in Val di Susa, domani chissà che cosa. Gli va bene qualunque cosa purché appunto abbia determinato in misura rilevante quello scollamento di cui si diceva. Con riguardo a questo fenomeno il problema è nell’immediato di legittima difesa sociale, quindi di polizia.
Un Paese come il nostro, che ha cinque polizie, sulla carta sarebbe del tutto in grado di reggere la prova. In realtà non è sempre così proprio perché le polizie sono cinque, mai abbastanza collegate tra loro sia in quanto ad attività di investigazione che in quanto a coordinamento in operazioni di ordine pubblico. Ieri a Chiomonte ce n’erano in campo tre, e almeno da quanto si è potuto capire senza essere sul posto non sembra che ciò sia stato di grande vantaggio per la causa dell’ordine pubblico.
Con un tale schieramento sul campo di reparti anti-sommossa largamente attrezzati, se le forze di polizia perdono il controllo del teatro degli scontri e subiscono l’iniziativa dei gruppi di manifestanti violenti ciò significa che manca l’unità di comando, oppure che questa è insufficiente o inadeguata. Inoltre in un contesto del genere le aree boschive circostanti e sovrastanti il luogo per sua natura predefinito del confronto avrebbero dovuto essere occupate e presidiate preventivamente. E non sembra che ciò sia stato fatto.
Sin qui la questione per quanto concerne appunto i suoi aspetti tipicamente di polizia, di legittima difesa sociale, che perciò stesso si pongono e vanno risolti in modo immediato. C’è però poi da soffermarsi sull’altro lato della questione: la drammatica incapacità della classe politica italiana, comune sia al centrodestra che al centrosinistra, a comunicare al pubblico le grandi questioni del Paese nei loro esatti termini, ad aprire su di esse dei dibattiti approfonditi e completi, e a raccogliere se del caso un consenso popolare chiaro e conclusivo, che non possa venire rimesso poi in discussione da minoranze militanti che pretendono di essere i rappresentanti autentici della volontà dei più.
Come ho scritto anche altrove, dire forte e chiaro che i responsabili degli incidenti di ieri a Chiomonte e i loro ispiratori sono dei criminali è vero, è necessario, ma non sufficiente. Occorre anche andare a vedere che cosa apre il varco a sviluppi di questo genere. Prima di ogni altra cosa si tratta di un problema per così dire di “filosofia” politica. Un’innovazione di cruciale rilievo andrebbe sempre preceduta da un grande dibattito, tale da favorire l’emergere dei vari giudizi, il loro confronto e la loro sintesi; nonché la previa ricognizione accurata e la previa conciliazione minuta di tutti i legittimi interessi in gioco; in primo luogo di quelli della popolazioni dei territori interessati.
Invece nel nostro Paese si fa di regola tutt’altro, come è accaduto infatti anche nel caso della TAV. Il piano viene elaborato e discusso nel proverbiale Palazzo fino a quando si mobilita contro di esso qualche interesse costituito o qualche minoranza militante, che lo mette in piazza screditandolo. Soltanto allora si corre ai ripari cercando di andare a spiegare all’opinione pubblica le ragioni a favore dell’iniziativa; a questo punto però la battaglia in pratica è già persa poiché nella comunicazione di massa chi parla per primo si assicura perciò stesso, al di là della fondatezza delle sue ragioni, un vantaggio che poi diventa molto difficile colmare.
Nel caso della TAV in Val di Susa, per rendersene conto basta una breve “navigazione” su Internet: in tutti i motori di ricerca più comunemente utilizzati sono decine i siti “no TAV” che precedono quelli non diciamo favorevoli ma quantomeno non ostili al progetto. E in barba al suo stile di regola enciclopedico persino la voce in proposito di Wikipedia è rigorosamente schierata a favore del “no TAV”.
Come mai, mentre in Val di Susa si registra un’ostilità diffusa contro il cantiere della TAV, brodo di coltura di eventi criminosi come quelli di ieri a Chiomonte, in territorio francese i lavori in corso non suscitano niente di simile? Come mai, a poche decine di chilometri a nord di Milano la Svizzera ha appena finito di scavare i 57 chilometri di AlpTransit, il nuovo tunnel di base sotto il massiccio del San Gottardo, e un terzo dei circa 40 chilometri del tunnel del Monte Ceneri con il consenso delle popolazioni interessate e con un impatto sia ambientale che sociale tanto esiguo che i turisti in viaggio sull’autostrada che collega Chiasso a Basilea neanche si accorgono di costeggiare il più grande cantiere di opere infrastrutturali attualmente aperto in Europa?
Un tempo divenne famosa la gita a Chiasso che Arbasino aveva suggerito agli intellettuali italiani come primo minimo antidoto al loro provincialismo. Forse è venuto il tempo di consigliare un’analoga gita anche ai politici italiani sia di maggioranza che di opposizione visto che la questione della TAV in Val di Susa trova per fortuna consenso in entrambi gli schieramenti.