Per la prima volta dall’entrata in vigore della legge 40 sulla fecondazione assistita, un giudice ha riconosciuto il diritto di poter fare la diagnosi preimpianto. Il Tribunale di Cagliari ha infatti autorizzato una coppia, lei malata di talassemia major e lui portatore sano, di eseguire il test all’Ospedale Microcitemico del capoluogo sardo. E, sempre per la prima volta in Italia, l’ordinanza sancisce che le strutture pubbliche che eseguono interventi di procreazione medicalmente assistita devono necessariamente dotarsi anche delle attrezzature necessarie per svolgere la diagnosi preimpianto per le coppie affette da malattie genetiche. Con questa sentenza, i giudici di Cagliari hanno sostanzialmente rispettato quella precedente (e già motivo di numerose polemiche) della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che, lo scorso giugno, aveva dato ragione a una coppia italiana (fertile) portatrice sana di fibrosi cistica, bocciando l’impossibilità di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. IlSussidiario.net commenta quest’ultimo episodio con Eugenia Roccella, parlamentare del Pdl e redattrice delle linee guida sulla legge 40, secondo cui la sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari è quanto mai “curiosa”.
Cosa pensa della decisione del Tribunale?
Bisogna innanzitutto dire che sono sempre gli stessi Tribunali ad attaccare la legge 40, dando così l’impressione all’opinione pubblica che la legge sulla fecondazione assistita sia un “colabrodo”, facilmente smontabile sotto ogni aspetto. Ma non è affatto così.
Come mai?
Perché stiamo parlando di semplici Tribunali amministrativi che non modificano affatto la legge ma che si pronunciano solamente su un singolo caso. Quindi, anche se per questa coppia il Tribunale di Cagliari ha stabilito che si può procedere con la diagnosi preimpianto, riguarda solo ed esclusivamente questo caso e non la legge in generale, che invece resta molto solida ed efficace. Se un’altra coppia volesse accedere alla diagnosi preimpianto, dovrebbe comunque rivolgersi a un Tribunale amministrativo. Nonostante i mille attacchi che ha ricevuto, quindi, la legge 40 resiste.
Entriamo nel merito di quest’ultima decisione.
Questa “curiosa” sentenza fa riferimento a un particolare articolo della legge, in cui è scritto che gli operatori devono dare informazioni ai genitori riguardo la salute dell’embrione. Le modalità con cui però possono essere fatte queste indagini sull’embrione devono essere indicate dalle linee guida, e qui c’è un problema.
Quale?
Le linee guida della Turco sono ambigue e non specificano nulla, con la conseguenza che sono soggette a differenti interpretazioni. Ho personalmente preparato le nuove linee guida che devono essere rinnovate ogni tre anni, ma dopo aver fatto quasi tutto l’iter per l’approvazione sono giunte sul tavolo del ministro Balduzzi, dove sostano da circa un anno. Sarebbe dunque opportuno che il ministro le firmasse o che si prendesse la responsabilità di modificarle, anche per evitare altre sentenze di questo tipo.
Cosa può dirci in particolare della diagnosi preimpianto?
La legge su questo punto è chiara e dice che le indagini sull’embrione devono essere fatte soltanto a suo vantaggio. Il problema è che attualmente non esistono terapie che si possono applicare direttamente sull’embrione, quindi la diagnosi preimpianto di fatto non viene usata per curare l’embrione, ma per scartarlo. E’ come se si dicesse che il disabile ha un minore diritto a vivere, introducendo un pericoloso principio di disuguaglianza. La sentenza è poi curiosa anche per un altro motivo.
Quale?
Quando sostiene che le strutture pubbliche che eseguono interventi di procreazione medicalmente assistita devono dotarsi delle attrezzature necessarie per svolgere la diagnosi preimpianto. Queste non sono assolutamente competenze di un Tribunale, perché i requisiti minimi per l’apertura di un centro PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) vengono stabiliti dalle Regioni, quindi è incredibilmente insolito che un Tribunale si pronunci anche su questo aspetto.
Questa emessa dal Tribunale di Cagliari è solo l’ultima di una serie di sentenze che sembrano violare la legge 40. Come mai stiamo assistendo a tutti questi casi?
Con questa domanda andiamo a toccare l’aspetto politico dell’intera vicenda: è infatti evidente quanto dietro tutto questo vi sia una chiara e forte campagna politica con l’obiettivo di modificare la legge, almeno nella prassi, ma senza passare dal Parlamento. E’ proprio questa la caratteristica che accomuna tutti i tentativi, e credo sia inaccettabile non passare attraverso un dibattito e un giusto coinvolgimento pubblico.
(Claudio Perlini)