Permettetemi, per una volta, di utilizzare il Sussidiario per raccontarvi una reazione personale, quasi privata, alla bellissima lettera di Carrón pubblicata da Repubblica. Anche perché credo che allo stesso tempo abbia un valore pubblico di testimonianza.
Quando la mattina del primo maggio l’ho letta (all’alba per via di una rassegna stampa mattutina, che propongo in diretta su Tgcom24), ho pensato davvero che fossimo di fronte ad un momento di svolta della storia del Movimento, lo stesso che avevo avuto la fortuna di incontrare da ragazzo. Mi ha impressionato moltissimo infatti il giudizio iniziale: “Leggendo in questi giorni i giornali sono stato invaso da un dolore indicibile nel vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”.
L’attrattiva del potere. In un lampo mi è tornato alla mente uno degli ultimi incontri che ho avuto la fortuna di avere con don Giacomo Tantardini, il prete di Roma che è scomparso proprio in questi giorni, e con cui avevo vissuto l’epopea di un decennio di giornalismo militante nella redazione del Sabato fra il 1986 e il 1993. Come capita raramente nella vita, nel colloquio parlammo di quel periodo, per tanto tempo evitato nei nostri discorsi (soprattutto nei miei) per il dolore che potevano implicare certe ferite. Don Giacomo era un uomo di Dio, da parte mia era finalmente arrivato il momento di confrontarci su quel tratto di strada comune.
Gli dissi: “Ho pensato che anche per noi allora, ultimamente, il problema era rimasto quello di vincere nella storia. Come se quello che avevamo incontrato non fosse vero se non attraverso l’affermazione di una presenza, di opere, di un progetto… Per carità, con grande ironia e distacco, ma anche noi ci portavamo dietro il tarlo hegeliano-sessantottino dell’egemonia. Del potere. Mentre Gesù Cristo non vince nella storia. Muore sulla croce”. Giacomo, nella sua bontà, mi abbracciò e disse sì, che era vero, ma non tutto quello che dicevo.
Il sabato seguente quell’incontro, ne parlò nell’omelia durante una delle sue messe a San Lorenzo, facendomi oggetto di un grande affetto: “Mi è venuto a trovare un amico che mi ha detto due cose. La prima, giusta, era che anche noi col Sabato avevamo il problema di vincere nella storia. La seconda, sbagliata, è che Gesù non vince. Non è così. Gesù Cristo vince nella storia, ma vince quando noi non siamo nulla”.
Aveva ragione Tantardini ed ha ragione oggi Carrón a tornare a sottolineare questa alternativa: fra la sequela a Cristo e l’inseguire altre soddisfazioni, prime fra tutte l’egemonia, il potere. Da una parte l’attrattiva Gesù, come recita il titolo di un libro di Don Giussani, e dall’altra quella del potere.
È una lotta quotidiana, confortata da quello che ci capita ogni giorno, anche attraverso i santi che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e avvicinare. Una grazia sorprendente che ci viene incontro, quando meno ce l’aspettiamo. Così nel dolore, nel pianto e nel miracolo, è cominciato questo strano mese di maggio 2012.