L’intervento di don Julian Carrón non è stato accolto, per una volta, dalla batracomiomachia che ormai travolge in Italia il dibattito raziocinante. Non si tratta qui affatto di stabilire torti e ragioni di questa o quella vicenda, le polarità che lo scrittore Elio Vittorini condensava in un suo racconto in “Niente Viva e niente Abbasso”. C’è, per questo, la normale dialettica politica, la battaglia giornalistica quotidiana. Ciascuno di noi – ed io lo faccio di certo, e non da poco tempo – può deprecare il livello rancoroso toccato dal dibattito, ma nessuno può, in democrazia, tracciarne limiti o ambiti.
La sfida posta a Comunione e Liberazione è, come ho suggerito in un mio intervento su La Stampa, difficile. Fondata da un futuro Santo, chiamata da don Giussani a standard di impegno e morale alti, Cl si sgola da tempo a negare di essere un partito, chiedendo ai commentatori di distinguere con attenzione fra il proprio mandato religioso e sociale e l’attività pubblica dei suoi aderenti, pur ai massimi livelli istituzionali. E’ un atto dovuto, e amici ed avversari onesti hanno provato a rispettarlo. Non si tratta qui di credere, – sarebbe troppo ingenuo! -, che il cristiano debba presumersi perfetto, nella sua attività privata o politica. Che il leader cristiano sia chiamato a una perfezione angelica non è standard di questo mondo. Basta avere ascoltato qualche pagina del Vangelo, senza neppure bisogno di aver letto la Lettera a Diogneto, Merton, Bonhoeffer o Sant’Agostino, per sapere che, al contrario, l’imperfezione è nostra crux comune. Il politico agisca da politico e come tale sarà valutato da elettori e critici.
Chi però ha una sua doppia cittadinanza, così elegantemente disegnata a Diogneto, nel cristianesimo non può esimersi dal confrontarla con la comunità. Come il carisma della comunità è stato, direttamente o indirettamente, invocato al momento dell’accesso al potere, così non può essere ignorato al momento della prova. E’ duro destino, lo capisco, e lontana da me ogni illusione di ergermi a giudice o moralista: troppi ce ne sono in giro, tronfi nella toga farisaica, salvo poi ritrovarsi sul banco degli accusati, imputati dai sodali di ieri.
Don Carrón ha scritto un testo addolorato, severo, impegnato. Che in chi ne condivide la fede susciterà commozione, conforto e monito, e nei laici, anche più disincantati, riflessione, meditazione, ammirazione. Chi dovesse invece, a qualunque titolo, sentirsi l’oggetto delle parole di don Carrón dovrebbe a lungo pensare. Ciascuno poi tragga le sue conclusioni. Ma far finta di nulla, o fingere che l’intervento di don Julian sia un dotto editoriale generico, pronto già oggi per gli archivi, sarebbe prova di superficialità e, per il solo giudizio che io sia tenuto qui a darne, di scarso rispetto civile.