Il caso di un bambino di undici mesi ricoverato in ospedale a Firenze “per gravi carenze nutrizionali” ha fatto scattare un’indagine della procura volta ad accertare se vi siano state “condotte delittuose” da parte dei genitori. La famiglia, residente in un paesino della zona di Pontedera, è vegana, ha cioè adottato un regime alimentare che esclude dalla dieta carne animale o cibi di provenienza animale, come latte, latticini, uova, miele; la dieta vegana, insomma, si basa esclusivamente su cereali, legumi, patate e verdure varie. Gli investigatori vogliono chiarire se c’è stata mancata attenzione sia dei genitori, sia del pediatra a fornire al bambino tutti i nutrimenti fondamentali per lo sviluppo.
Bisogna premettere che il collegamento con l’evidente stato di denutrizione del bimbo, tale da costringere i medici al ricovero, e l’adesione del padre e della madre al veganesimo è allo stato dei fatti ancora da verificare e che solo il lavoro degli inquirenti potrà appurarlo con certezza. Ma bisogna anche dire che, se il metodo vegano non c’entrasse, l’atto sarebbe ancora più grave, frutto di una disattenzione eccessivamente colpevole.
Fatta questa premessa, va comunque ricordato che l’ipotesi inquirente cercherà di fornire prove che il veganesimo sia la causa della denutrizione del bimbo. Se ciò fosse dimostrato, saremmo di fronte alla tipica applicazione ideologica di un punto di partenza buono. Come si è infatti precipitata a precisare l’associazione dei vegani italiani Progetto Vivere Vegan, gli aderenti al veganesimo “sono semplici persone che scelgono di non causare dolore per nutrirsi”, una precisazione così tempestiva da far pensare che ciò che si vuole difendere, più che i genitori di Pontedera, è il metodo vegano stesso.
Ora, l’idea di non causare dolore per nutrirsi è buona e giusta, ma la sua applicazione ideologica: un particolare buono viene totalizzato, come fa ogni ideologia, con conseguenze pressoché tragiche. “L’errore è una verità impazzita” diceva Chesterton con la sua tipica verve. Facciamo un esempio: ma perché i vegani si autoproibiscono il latte? La risposta la sappiamo: per la sua origine animale. Ma il latte è per antonomasia il nutrimento, è l’alimento più completo, tipico, adatto per i cuccioli di tutti i mammiferi, che si chiamano così proprio perché dotati dell’organo da cui viene il latte, la cui unica ragione di esistenza è quella di nutrire. E poi dove starebbe la sofferenza nella produzione di latte, in quella strizzatina alle mammelle? E così, per estensione, tutti i latticini, i formaggi. E il miele? Occorre aggiungere esempi?
E allora perché far soffrire le piante, nell’atto di staccare loro i frutti, provocandone un microtrauma? Chi sceglie una dieta cruelty-free come i vegani non dovrebbe preoccuparsi di non essere crudele anche con i vegetali?
Il sospetto è che dietro questa ideologia ce ne sia un’altra, precisamente quella animalista, la quale dice, tolta la tara di tutti i discorsi e della retorica, che gli animali sono migliori dell’uomo: meno violenti, meno snaturati, meno cattivi. Quante volte l’abbiamo sentito dire, anche in televisione! E infatti quanti animalisti sono favorevoli, ad esempio, all’aborto.
Speriamo almeno che davvero la magistratura non arrivi a dimostrare che in nome di questa ideologia montante due genitori vegani abbiano omesso di fornire il nutrimento necessario al loro bambino.