Papa Francesco incontra a Roma i parroci che hanno partecipato al corso di formazione sul nuovo processo matrimoniale promosso dalla Rota e dice loro le cose come stanno: poi, chi vuole fraintendere fraintenda e chi vuole capire capisca. Dice che loro, i parroci, sono i primi interlocutori sia dei giovani che vogliono formare una nuova famiglia in Cristo, sia di quelli che sono in crisi, sia di quelli che vogliono intraprendere il cammino della dichiarazione di nullità, sia delle unioni civili, sia di quelli che vogliono convivere. Perché nella società d’oggi c’è di tutto: “unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici”.
Questo accade sabato; poi, domenica, leggi i giornali, vai sui social, scorri i titoli dei blog, e vedi che ciascuno tira il Papa dalla propria parte. Perché è una caratteristica di Francesco, quella di dire la verità tutta intera, con le sue luci e con le sue ombre, e di accettare così il rischio di essere frainteso. Perché lui, da Papa, ha deciso di chiamare le cose col loro nome, ha deciso di dire le domande che tutti abbiamo dentro, le paure che hanno attraversato almeno una volta il cuore di ogni prete e di ogni genitore: “io mi domando quanti di questi giovani che vengono ai corsi prematrimoniali capiscono cosa significa ‘matrimonio’, il segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. ‘Sì, sì’ — dicono di sì, ma capiscono questo?”. Quale parroco non si è fatto questa domanda, quale papà e quale mamma mentre diceva al figlio di essere contento del matrimonio annunciato si chiedeva: ma si rende conto davvero di quello che sta facendo?
Nel giugno scorso, al convegno diocesano di Roma, di fronte a migliaia di sacerdoti pietrificati Papa Francesco raccontò: “Una signora, una volta, a Buenos Aires, mi ha rimproverato: ‘Voi preti siete furbi, perché per diventare preti studiate otto anni, e poi, se le cose non vanno e il prete trova una ragazza che gli piace… alla fine gli date il permesso di sposarsi e fare una famiglia. E a noi laici, che dobbiamo fare il sacramento per tutta la vita e indissolubile, ci fanno fare quattro conferenze, e questo per tutta la vita!'”. Per questo sabato Papa Francesco aveva concluso dicendo: “Sono convinto che ci voglia un vero catecumenato per il Sacramento del matrimonio, e non fare la preparazione con due o tre riunioni e poi andare avanti”.
Insomma Papa Francesco non ha detto: la convivenza è più o meno come il matrimonio; non ha detto: sposarsi in chiesa e farlo civilmente è più o meno lo stesso; non ha detto: unioni civili e matrimonio, in fin dei conti se non è zuppa è pan bagnato. Ha detto che se sei genitore ami tutti i tuoi figli. E dai amore e dai regole. E speri che i figli crescano sani, felici, onesti, lavoratori. E che restino attaccati alla famiglia. Capita però che i figli prendano strade sbagliate, scelte sbagliate. Che incappino in amori e in amicizie che non vanno e allora, ogni genitore sa che per quel figlio “difficile” sarà un padre ed una madre con un’attenzione e una sollecitudine particolare. Questo il Papa ha chiesto sabato scorso ai parroci e, in fin dei conti, a tutti i cristiani. In Italia il matrimonio è in caduta libera, anche quello civile. E invece le convivenze crescono. Per i parroci questi ultimi saranno i figli difficili, quelli più chiamati e quelli più cercati. Il Papa, sabato, ha chiesto ai parroci di essere padri. Di seguire e amare tutti ma in particolare le persone in difficoltà. Quelli che una volta si chiamavano gli “irregolari” ma che adesso non si chiamano più così. Anzi forse il nome, quello generico, della categoria, non esiste proprio più. Perché si chiamano solo col loro nome proprio.