Ieri la notizia che un povero cristo disperato per la perdita del lavoro si è tolto la vita dandosi fuoco ha bucato — dico: abbastanza — i notiziari televisivi quotidianamente allagati dalla logorrea dei politici e dagli indici di borsa. L’uomo è un 54enne siciliano, da anni disoccupato, salvo scampoli di impieghi modesti e precari. L’ultimo in una ditta di trasporti di Villabate, vicino a Palermo, dove Ferdinando Bosco, questo il suo nome, caricava e scaricava cassette di ortaggi dai camion. Due mesi fa aveva perso anche questo posto che gli dava qualcosa di cui almeno campare. Ferdinando non ha più trovato la forza di ricominciare, né un motivo per vivere e ha deciso di farla finita. Una tanica di carburante e la vecchia Fiat Idea: si è portato nei pressi dell’ortomercato, si è cosparso di benzina all’interno della sua auto e si è dato fuoco. E’ morto nel rogo, triste spettacolo per i passanti e negozianti della zona esterrefatti e impotenti, e triste monito per tutti. Tutto quel che è rimasto è un corpo orrendamente carbonizzato, una tanica, e la targa dell’auto da cui le forze dell’ordine sono potute risalire all’identità dell’uomo. E un messaggio su whatsapp alla figlia con un unica, terribile e commovente parola: “Perdono”.
Noi tutti ci facciamo un’idea della realtà che ha in primo piano quello che le dinamiche del potere e i mezzi dell’informazione ci propongono in prima pagina e che i salotti televisivi danno in pasto alla consueta compagnia di giro per la sagra della chiacchiera gratis e la ridda delle opinioni a vuoto. Qualche anno fa anche i suicidi per disoccupazione o fallimento economico divennero un fenomeno sotto la lente di ingrandimento. Soprattutto per gli imprenditori che si toglievano la vita. La sorpresa ci fu; l’attenzione tuttavia durò poco. Eppure il fenomeno è continuato ed ha dimensioni notevolissime.
E’ una lettura da ora di meditazione una pagina su Facebook, del 2012, intitolata “Per non dimenticare. Cronologia dei suicidi da lavoro”. Ecco:
2 gennaio 2012: Bari, 74 anni, pensionato si getta dal balcone. Inps chiedeva rimborso. 12 gennaio 2012: Arzachena, 39 anni, commerciante tenta di asfissiarsi, viene salvato. 22 febbraio 2012: Trento, 44 anni: per i troppi debiti si getta sotto ad un treno… è salvo. 25 febbraio 2012: Sanremo, 47 anni, elettricista si spara. L’uomo era stato licenziato qualche settimana fa dalla ditta nella quale lavorava da molti anni. 2 marzo 2012: Ragusa, commerciante tenta di darsi fuoco. 2 marzo 2012: Pordenone, 46 anni, magazziniere si suicida. 9 marzo 2012: Genova, 45 anni disoccupato, sale su un traliccio della corrente. 10 marzo 2012: Torino, 59 anni, muratore si dà fuoco. 14 marzo 2012: Trieste, 40 anni, appena disoccupato si dà fuoco. Il 20 marzo 2012 un giovane artigiano di 29 anni si è impiccato a Scorano (Lecce). L’uomo ha lasciato un biglietto spiegando che non riusciva a trovare un altro lavoro e che era disperato. 21 marzo 2012: Cosenza, 47 anni, disoccupato si spara.
E così via. Questo è solo l’inizio, la lista è lunghissima, e sembra di leggere le epigrafi del sacrario di Redipuglia. Sono solo alcuni dei suicidi di un trimestre. Immaginate di leggere una sequenza così per altri 90 e passa mesi (dal 2008 a oggi).
Una lista di caduti che dall’inizio della crisi, 2008, ad oggi, annovera dai 100 ai 200 casi di suicidio per lavoro ogni anno, e altrettanti di tentato suicidio. Il laboratorio di ricerca Link-Lab ha studiato il fenomeno e pubblicato i dati anche in dettaglio. I quali mostrano che i suicidi per perdita di lavoro, disoccupazione, fallimento, stipendi non percepiti sono diffusi in maniera ormai omogenea in tutte le regioni d’Italia e in tutte le fasce di età, con particolare gravità nella fascia 35-55: quella che dovrebbe rappresentare la forza lavoro più matura e ricca d’esperienza.
Ma tant’è. Nelle questioni economiche il tema del lavoro ha molto meno attenzione del barile di petrolio e dei crolli e rimbalzi delle borse. Così più che dire, per esempio, che la disoccupazione giovanile in Italia è la più alta in Europa dopo la Grecia (37,9% Italia, 44% Grecia, 22% media Ue) si preferisce far notare che nel tal mese c’è stato un miglioramento dello zero virgola zero uno sullo stesso mese del tal anno.
Invece la realtà, proprio la realtà del lavoro, dei poveri cristi che un lavoro ce l’hanno e vanno sotto stress tremendi per non farsi buttare ai margini; e la realtà dei poveri cristi che il lavoro non ce l’hanno, non lo trovano, o lo hanno perso, su questa realtà si preferisce non soffermarsi troppo. Il lavoro non è solo fonte di guadagno e di sostegno della famiglia (e delle unioni civili, anche quelli devono mettere insieme il pranzo con la cena), non solo è il mezzo con cui l’uomo migliora e umanizza il mondo, ma è anche il mezzo con cui egli realizza se stesso come persona. Questa verità, richiamata dai grandi papi anche recenti, come Wojtyla (Laborem Exercens), non è di casa nel dibattito pubblico. Male, malissimo. Che sia una verità ce lo provano drammaticamente i casi di suicidio di disoccupati. Ma abbiamo creato una tale sfilza di nuovi diritti che il vecchio sacrosanto diritto al lavoro sembra finito in coda. Va rimesso ai primi posti, urgentemente.