Ha spiazzato in tanti la semplicità e la forza con cui Edi Aringhieri ha raccontato della sua vita e di quella del figlio Andrea Bocelli l’altro giorno a Domenica In: ha spiazzato perché non si è “limitata” a sottolineare la grande impresa di un figlio disabile per via della propria cecità che ha saputo superare i suoi limiti e raggiungere il successo. No, c’è molto altro: nelle scelte raccontate da mamma Edi vi è la consapevolezza che tutti quegli sforzi non sono stati spesi “per il successo”, ma sarebbero stavi validi a prescindere e per chiunque. Insomma, una lezione umile e non “moralista” a tutti quelli che reputano un dramma inutile quello di crescere un figlio disabile. «Mi dissero: abortisci tuo figlio sarò cieco. Ci fu grande preoccupazione perché arrivai in ospedale con forti problemi al ventre, in quel momento mi dissero che Andrea sarebbe nato con un glaucoma congenito e che lo avrebbe reso ipovedente qualche anno più tardi», spiegava a Domenica In la mamma del più grande tenore esistente al mondo. «Ma non lo feci»: dentro queste semplici parole vi è tutta la “rivoluzione” di Edi Aringhieri e di tutte le mamme che sfidano il “pensiero del mondo” che vuole uomini e donne “perfette”. Non abortì e ora racconta commossa di quella scelta così difficile eppure così “vincente”: «ho voluto raccontare questa storia per dare forza alle famiglie che affrontano situazioni simili a quella vissuta da me e dalla mia famiglia».
LA FEDE HA CAMBIATO IL FIGLIO
Non lo ha raccontato direttamente la mamma di Andrea Bocelli, ma la storia e la testimonianza del figlio rendono “possibile” il passaggio logico: cresciuto in un ambiente sano, con valori cristiani e con la fondamentale lezione della “cura” verso il prossimo, il grande tenore ha potuto all’inizio della sua vita riconoscere alcuni tratti che per lungo tempo non è riuscito ad assimilare fino in fondo. Anzi, si è addirittura ribellato ma non per questo non sono stati utili o meglio, “efficaci”: come ha raccontato più volte lo stesso Bocelli, «La mia famiglia mi aveva impartito quei princìpi morali che mi facevano condurre una vita comunque rispettosa del prossimo e genericamente orientata al bene – dice il tenore – Ma ritenevo, sbagliando, che potessero essere sufficienti per vivere una vita serena». Proprio quei “principi” sono poi servizi per riconoscerli nel pieno del dramma di una vita complessa per la cecità ma soprattutto “drogata” dal successo dei primi anni: «Alcuni interrogativi esistenziali, con l’età adulta, sono tornati, impellenti… Anche perché obiettivamente senza la fede è difficile dare un senso alla vita. Senza la fede il nostro transito terreno è una tragedia annunciata che, nel migliore dei casi, termina con la vecchiaia, la malattia e la morte. Ho iniziato allora una ricerca perfino spasmodica, che alla fine, grazie a Dio, ha dato buoni frutti».
Lo raccontava Bocelli in una intervista del 2016 a “Credere”: raccontava di un percorso semplice che lo ha riportato alle origini, in quella fede semplice che mamma Edi e papà Alessandro (morto nel 2000, ndr) gli avevano insegnato e che lui ha dovuto riconoscerete e riguadagnare attraverso il dramma della vita: una scelta libera di un percorso già indirizzato, l’esatta corrispondenza della fede in Gesù che “scommette” sui propri figli attraverso le circostanze, alle volte dure, della vita. «A contatto con la sofferenza, propria o altrui, ancor più quando coinvolge creature innocenti, è lacerante dover riconoscere, e accettare, come la mente dell’uomo non sia fatta per comprendere la logica di Dio. Lui è eterno e infinito, mentre la nostra ragione è tutto il contrario. Dio sta alla nostra mente come il mare sta a un piccolo secchio, dove purtroppo entrano pochi litri d’acqua. Abbiamo, però, una strada privilegiata per arrivare a Dio: la via del cuore», concludeva Bocelli nella sua passata intervista a “Credere”.