Il presidente della Corte costituzionale, Franco Gallo, ha ribadito il suo invito al Parlamento a riconoscere i diritti delle coppie gay. Per il numero uno della Consulta è necessario il “riconoscimento dei diritti delle coppie gay”, e ha quindi richiamato a una “regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni”. Ilsussidiario.net ha intervistato Roberto Romboli, professore di Diritto costituzionale all’Università di Pisa.
Professor Romboli, ritiene che l’intervento del presidente Gallo sia un’invasione di campo rispetto alle prerogative del Parlamento?
Uno dei ruoli della Corte costituzionale, tra l’altro svolto da sempre, consiste nel fare dei moniti al legislatore. Pur dichiarando non incostituzionale la legge, la Consulta richiama il legislatore a un intervento che serva a realizzare meglio i diritti tutelati dalla Costituzione. Una sentenza della Consulta emanata nel 2010 aveva stabilito che non è incostituzionale la mancata previsione del matrimonio per le coppie omosessuali. Contemporaneamente aveva però dichiarato che esiste un diritto, espressamente definito come fondamentale, in base a cui le persone omosessuali devono poter svolgere la loro vita di coppia. La Corte costituzionale ha quindi chiesto al legislatore di intervenire.
Perché non è intervenuta direttamente la stessa Consulta?
Chiaramente le scelte per fare realizzare questo diritto fondamentale possono essere le più diverse. Le modalità di attuazione devono essere quindi stabilite dal Parlamento, e non dalla Consulta. Non si tratta infatti di una scelta obbligata che deriva automaticamente dalla Costituzione. La Corte ha stabilito che esiste un diritto delle persone omosessuali a vivere la loro vita di coppia. Il modo in cui realizzarlo deve essere poi scelto dal legislatore, e quindi la Consulta ha richiamato quest’ultimo a intervenire. Ora Gallo afferma che a distanza di quasi tre anni il Parlamento non è intervenuto, e l’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa a non avere nessuna regolamentazione delle coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali.
In che modo la legislazione vigente oggi impedisce alle coppie omosessuali di vivere la loro vita di coppia?
Impedisce di vivere la loro vita di coppia non riconoscendo loro tutti quei diritti che sono garantiti da un lato alla coppia convivente “more uxorio”, dall’altra a tutta una serie di posizioni. In Italia l’omosessualità è riconosciuta non in quanto fatto individuale, in quanto la legge non la sanziona come reato. Ma se si vuole tutelare la scelta della vita omosessuale va garantito non il singolo, bensì la coppia. Ciò significa riconoscere la successione nel contratto quando una delle due parti muore, l’assistenza sanitaria, l’assegno di mantenimento, le assicurazioni previdenziali e le tutele previste per chi vive in coppia.
Può farci un esempio?
Un disegno di legge, che poi non è stato approvato, mirava a introdurre una serie di elementi previdenziali a favore del convivente del Parlamentare. Il convivente però è sempre stato interpretato come il convivente eterosessuale, ma perché non anche omosessuale? Il problema è che legge italiana non disciplina la convivenza e non riconosce certi diritti che rendono possibile e realizzabile la vita di coppia.
In quale punto della Costituzione si parla di diritto a una vita di coppia omosessuale?
L’articolo 2 della Costituzione parla di diritti inviolabili. Dal 1987, la Corte costituzionale ha interpretato questa nozione come una norma aperta, cioè non limitata ai diritti tassativamente previsti dagli articoli successivi della Costituzione. Attraverso l’interpretazione si possono creare quelli che nel diritto costituzionale sono stati definiti come i diritti nuovi.
(Pietro Vernizzi)