E se ci rimettessimo alla scuola della realtà? Di quella realtà nella quale si è immerso il Verbo di Dio e dove ha proclamato il Vangelo, perché attraverso questo annuncio proprio la concretezza della vita dell’uomo tornasse ad avere un significato comprensibile e suscitatore di speranza?
E’ questa la domanda che mi si è imposta con urgenza appena ho potuto iniziare a guardare il testo della Amoris Laetitia, mentre con la coda dell’occhio vedevo scorrere sul computer le prime reazioni e i primi articoli di presentazione del contenuto dell’esortazione apostolica post-sinodale sul tema della famiglia. Si sprecano i commenti volti a scoprire se e come e dove papa Francesco abbia fatto o meno delle “aperture”, a quale corrente cardinalizia o episcopale abbia dato ascolto, se emerga innanzitutto la “furbizia gesuitica” che lo contraddistingue… e via, in un crescendo di valutazioni che non si discostano molto, quanto a serietà e profondità, dalla maggior parte dei commenti che accompagnano questi articoli, una volta pubblicati online.
Ma questa prospettiva così nota, così asfittica, così nemica di ogni speranza e foriera di nuove contrapposizioni, non è davvero l’unica possibile. Anzi, nemmeno riesce a rendere ragione di tutta la ricchezza del documento che abbiamo tra le mani: una ricchezza che deriva dalla scelta con cui papa Francesco ha deciso di valorizzare ogni aspetto del cammino ecclesiale degli ultimi due anni, come afferma proprio all’inizio del testo (n. 2), quando indica le modalità con cui accostarsi alla Laetitia Amoris senza temere di accennare assai esplicitamente alle condizioni in cui si è svolto il dibattito sinodale: “…la complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali. La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza. I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche”.
Questa chiarezza nel guardare tutto, anche le controversie e le diversità di posizione, per ricomprenderle nel cammino della Chiesa, costituisce una preziosa e importantissima indicazione di metodo, e non solo per le discussioni intraecclesiali teologiche o pastorali, ma come atteggiamento permanente anche per l’azione missionaria, ovvero per il riconoscimento della presenza di Cristo “persino” nelle situazioni più ferite e segnate dall’indifferentismo e dal rifiuto.
Una siffatta impostazione permette così di scrivere, al termine dell’analisi della situazione presente: “A partire dalle riflessioni sinodali non rimane uno stereotipo della famiglia ideale, bensì un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni. Le realtà che ci preoccupano sono sfide. Non cadiamo nella trappola di esaurirci in lamenti autodifensivi, invece di suscitare una creatività missionaria” (n. 57).
La risposta al rischio di ripiegamento autodifensivo e lamentoso non può essere che la conseguenza pratica del riconoscimento di Cristo presente e operante come volto della misericordia del Padre, e dell’azione della Chiesa come totalmente dipendente da tale riconoscimento: “Il nostro insegnamento sul matrimonio e la famiglia non può cessare di ispirarsi e di trasfigurarsi alla luce di questo annuncio di amore e di tenerezza, per non diventare mera difesa di una dottrina fredda e senza vita. Infatti, non si può neppure comprendere pienamente il mistero della famiglia cristiana se non alla luce dell’infinito amore del Padre, che si è manifestato in Cristo, il quale si è donato sino alla fine ed è vivo in mezzo a noi” (n. 59).
L’assunzione della prospettiva — e dunque del giudizio, del pensiero — di Cristo-Misericordia da parte della Chiesa, e della storia tutta come cammino di risposta alla Sua presenza, permette anche ai cristiani e ai pastori di proporre itinerari capaci di scardinare l’ovvio, di offrire una possibile e percorribile via di speranza anche nelle situazioni più difficili, come ad esempio quelle dell’incomunicabilità che è spesso preludio a fallimenti e separazioni matrimoniali. Anche in queste situazioni, infatti, mettersi alla scuola di Cristo insegna che “Non importa se è un fastidio per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato” (n. 92).
Una Chiesa così capace di porsi in ascolto della presenza di Cristo, allora, si riconosce non solo come maestra e madre, ma sa di essere visitata dal suo Sposo proprio attraverso quelle realtà — come la famiglia — che sono allo stesso tempo più preziose e più fragili: “La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, «in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana” (n. 87).
Questa prospettiva di rinnovato ascolto e servizio alle necessità delle famiglie, che si mostrano come una folla inesauribile di bisogno e di ferite, potrebbe forse sembrare ancora poco, come risposta al bisogno. Eppure, come recitano le letture proclamate nel rito Romano proprio nel giorno della promulgazione della Amoris Laetitia, con il poco di un ragazzo — cinque pani e due pesciolini — Cristo poté sfamare una immensa moltitudine, sfidando perfino il giudizio pessimista dell’apostolo Filippo, secondo il quale sarebbe stato impossibile provvedere a tanta gente anche spendendo una somma esorbitante. Forse proprio a questo papa Francesco sta chiamando la Chiesa: a riconoscersi come colei a cui è chiesto di “riconsegnare” a Cristo tutto quanto possiede, perché sia Lui a spezzare il pane, rendendolo atto alla distribuzione a quanti rischiano di venir meno per la fame. Ben sapendo che ci sarà solo da guadagnare, anche per i distributori del cibo, da questo esercizio insieme spirituale e concretissimo della misericordia.