La storia di Fabiano Antoniani, meglio noto come dj Fabo, e della sua morte per suicidio assistito nella clinica elvetica Dignitas sta suscitando un grandissimo scalpore.
Non può non interrogarci la vicenda di un uomo, grande amante della vita, rimasto tetraplegico e cieco in seguito a un incidente occorso quasi tre anni fa, che decide di darsi la morte perché non riesce più a sopportare la sua condizione.
Non è questa tuttavia la sola ragione per la quale la morte di dj Fabo ha sollevato tanto clamore mediatico.
Al Parlamento italiano sta per essere portata all’attenzione della Camera dei deputati la proposta di legge recante “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, che dovrebbe introdurre nel nostro Paese il cosiddetto “testamento biologico”, o per meglio dire le “Dat – Disposizioni anticipate di trattamento” con le quali un soggetto potrà decidere per il futuro di rifiutare determinati trattamenti sanitari; attualmente la proposta è in discussione in Commissione.
E’ stato lo stesso dj Fabo a collegare la sua decisione di andare a morire in un Paese straniero ai ritardi del Parlamento italiano nell’affrontare la tematica del testamento biologico. Viene dunque spontaneo domandarsi che legame vi sia tra il caso di dj Fabo e la proposta di legge in discussione.
Da un punto di vista strettamente giuridico non esiste tuttavia alcuna connessione.
Quand’anche in Italia fosse già stata approvata la legge sul “testamento biologico”, DJ Fabo non avrebbe potuto ricorrere al suicidio assistito nel nostro Paese per la semplice ragione che, con la proposta di legge in questione, esso non viene in alcun modo introdotto e regolamentato.
Attualmente il suicidio assistito (che è l’atto con cui un soggetto pone volontariamente fine alla propria vita con il supporto di altre persone) è punito dal codice penale, così come l’eutanasia (che si sostanzia invece nell’atto di un soggetto terzo finalizzato a porre termine alla vita di un’altra persona consenziente) e lo sarebbe anche dopo che dovesse essere eventualmente approvata la proposta di legge in discussione alla Camera; né vi sono altre proposte attualmente all’esame del Parlamento italiano volte alla legalizzazione dell’eutanasia o del suicidio assistito.
Nell’ambito del dibattito parlamentare sul “testamento biologico” sono stati sollevati alcuni rilievi critici in merito alla formulazione dell’articolo 3 della proposta di legge, che riguarda le Dat.
A detta di alcuni parlamentari, infatti, si tratta di una nozione oltremodo ampia e comunque atecnica, dato che la proposta di legge prevede che un soggetto, attraverso le Dat, possa esprimere “le proprie convinzioni e preferenze” in materia di trattamenti sanitari. Era stato dunque paventato che una formulazione così generica potesse aprire la strada verso una deriva eutanasica; sul punto i promotori della proposta di legge hanno replicato negando recisamente l’intenzione di dare in qualche modo ingresso all’eutanasia in Italia.
Peraltro se dal punto di vista giuridico sono categorie del tutto distinte tra loro, sotto un profilo culturale il testamento biologico da una parte e il suicidio assistito e l’eutanasia dall’altra presentano invece aspetti di affinità.
Li accomuna l’idea che l’uomo possa autodeterminarsi da un canto decidendo anche per il futuro di non sottoporsi a determinati trattamenti sanitari che possono essere vitali (ad essi la proposta di legge equipara anche le pratiche di nutrizione e di idratazione artificiali, che pertanto potranno essere anch’esse rifiutate se la proposta diventerà legge nel testo attuale) e d’altro canto scegliendo addirittura quando porre fine alla propria esistenza ricorrendo al suicidio assistito o all’eutanasia.
E’ mia personale convinzione che questa cultura della morte possa essere superata guardando ad esempi di persone in cui la malattia non ha preso il sopravvento sulla vita.
Penso a Giovanna, carissima amica inchiodata a letto da molti anni dalla Sla e che comunica soltanto “puntando” con gli occhi le lettere riportate su di una lavagnetta in plexiglas; in una recente trasmissione televisiva ha affermato che la malattia è stata l’occasione per comprendere di più che la vita è un mistero, non una cosa oscura, ma qualcosa che la ragione non può contenere, che la vita può essere bella anche nelle condizioni più difficili, raccontando poi quanto sia entusiasmante essere circondata di amici “che ti portano dentro casa il mondo”.