«Sono persuaso che a proposito del fatto religioso in genere, e del cristianesimo in particolare, tutti crediamo già di sapere. Invece non è impossibile, riaffrontandolo, approdare a qualche aspetto di conoscenza nuova».
L’intento, del tutto positivo, di Luigi Giussani è stato sempre quello di mostrare la cum-venientia del fatto cristiano con quell’«insopprimibile senso religioso con cui la ricerca del destino dell’uomo coincide». Per riformulare la proposta cristiana egli ha esaminato i fattori che caratterizzano la vicenda culturale e sociale moderna e contemporanea.
Mi sembra particolarmente illuminante in proposito rileggere oggi un rilievo di Giussani sulla situazione del cristianesimo in Italia all’inizio degli anni Cinquanta: «Una situazione che vedeva i cristiani autoeliminarsi educatamente dalla vita pubblica, dalla cultura, dalle realtà popolari, fra gli incoraggianti applausi e il cordiale consenso delle forze politiche e culturali che miravano a sostituirli sulla scena del nostro paese».
Quando il mondo cattolico sembrava ancora occupare in modo imponente la società, Giussani percepisce con lucidità l’ondata di secolarizzazione che si sta per abbattere sull’Italia cattolica, i cui effetti saranno visibili, macroscopicamente, a partire dal 1968.
Da dove poteva nascere un simile, profetico giudizio? Dalla percezione che tale presenza massiccia non era che l’eredità inerziale di un passato: «Mi apparve allora chiaro che una tradizione, o in genere un’esperienza umana, non possono sfidare la storia, non possono sussistere nel fluire del tempo, se non nella misura in cui giungono a esprimersi e a comunicarsi secondo modi che abbiano una dignità culturale».
Ma questa dignità culturale è impossibile se non a partire dall’esperienza di un soggetto, personale e comunitario, ben identificato nei suoi tratti ideali ma inserito nella storia, che si proponga, con semplicità e senza complessi, all’uomo in forza delle sue ragioni intrinseche. Un simile soggetto non teme un confronto a tutto campo.
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In Giussani è lo stesso dinamismo che regge l’insorgere e lo svilupparsi dell’esperienza e del pensiero. Una conferma questa del fatto che l’esperienza, quando è autentica, contiene il suo logos, non lo riceve dall’esterno, e a sua volta il pensiero, quando è integrale, non può che “rendere” la realtà in quanto tale.
In quest’ottica non sfugge come l’opera di Giussani superi di schianto ogni dicotomia e ogni estrinsecismo nel considerare il rapporto tra ragione e fede, tra natura e soprannaturale, tra umano e cristiano.
Sono i due polmoni della riflessione di Giussani. Nel suo appassionato insegnamento e nei suoi scritti, il sacerdote milanese non cessa di porre attenzione al frangente storico e culturale per comunicare un’esperienza/pensiero alla libertà del suo interlocutore. Una libertà che è sempre drammaticamente situata.
Realtà (quindi storia e cultura) e conoscenza (perciò ragione e fede) fanno l’esperienza dell’uomo aperto alla verità e desideroso di comunicarla. La verità infatti non è veramente conosciuta fin tanto che non è comunicata.
Non si capirebbe Giussani al di fuori di concetti chiave pensati secondo la sensibilità moderna, quali quelli di esperienza, di libertà, di verità come evento, di conoscenza come strutturalmente connessa all’affezione, di essere come dono, di “ soggetto” come implicato nel dono stesso dell’essere.
Giussani era realista, di un realismo che afferma l’esistenza e la conoscibilità del fondamento veritativo del reale e che conduce a un confronto a tutto campo: «Se la persona di Cristo dà senso ad ogni persona e ad ogni cosa, non c’è nulla al mondo e nella nostra vita che possa vivere a sé, che possa evitare di essere legato invincibilmente a Lui. Quindi la vera dimensione culturale cristiana si attua nel confronto tra la verità della sua persona e la nostra vita in tutte le sue implicazioni».
Dell’autore Angelo Scola sta per uscire la nuova edizione del libro Un pensiero sorgivo. Luigi Giussani, Edizioni Marietti 1820.