Siamo, ormai, ben oltre i livelli di guardia. La rabbia dei più vili si è incanalata nelle forme della violenza. E il terrorismo ha colpito nuovamente. Dopo l’attentato al dirigente di Ansaldo Nuclerare, Roberto Adinolfi, nella mattinata di ieri sono state lanciate due bottiglie molotov contro la sede livornese di Equitalia. La situazione è, oggettivamente, preoccupante. Al punto che il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, si è sentito in dovere di lanciare l’allarme. Spiegando che il rischio di escalation di violenze, effettivamente, c’è. Parla Giuseppe Eposito, vicepresidente del Copasir.
Che aria stiamo respirando?
L’allarme, effettivamente, è alto. Da un lato lo scollamento sociale alimenta le sacche di violenza; dall’altro, da ormai diversi anni, si sta configurando una nuova forma di eversione. Se negli anni 70 si trattava di associazioni strutturate militarmente, oggi siamo di fronte a un terrorismo più individualista e “fai da te”, ove poche persone con scarsa organizzazione e poche armi riescono a compiere atti dimostratavi colpendo nella massa.
Cosa intende?
Sono cambiate le modalità di azione e gli obiettivi. Non è stata posta la debita attenzione sul fatto che Adinolfi rappresentava l’“anello più debole” di Finmeccanica. Non era, infatti, sotto scorta, non è mai stato attenzionato, non c’era, insomma, alcun segnale nei suoi confronti tale da far presumere che potesse essere a rischio. E’ plausibile che chi ha compiuto l’attentato abbia voluto produrre un fenomeno mediaticamente eclatante e incidere più sul fronte della comunicazione che su quello effettivo.
In pratica, non si è mirato agli “obiettivi” più in vista del gruppo.
Esatto. Negli anni 70 si sarebbe cercato, probabilmente, di colpire direttamente l’amministratore delegato di Fimeccanica, per colpire il cuore della struttura e la sua operatività.
In questi giorni sono stati rinvenuti anche volantini e scritte targati Brigate Rosse e Lotta continua.
L’intelligence e la magistratura ritengono che l’evoluzione del terrorismo stia avvenendo, in particolar modo, all’interno della Federazione anarchica informale (Fai), l’associazione che ha rivendicato l’attentato ad Adinolfi; le altre sigle stanno emergendo per porre il proprio timbro sul momento di crisi. Tuttavia, stanno al Fai come i Gap, i Nap o Soccorso Rosso stavano alle Brigate Rosse. Si tratta, in sostanza, di fiancheggiatori.
Chi c’è dietro ai Fai?
Un po’ di tutto. Fino a poco tempo fa c’erano dei “ragazzini”; gli stessi che alcuni mesi fa inviarono le buste sospette nelle sedi di Equitalia e all’Ambasciata greca. Sappiamo che molti di questi militano nei centri sociali o tra le fila dei no tav. Cellule sparse che agiscono, per così dire, in franchising, condividendo le informazioni e la sigla. Costoro hanno deciso di fare il salto di qualità, passando dalle intimidazioni alla violenza.
Com’è possibile che riescano ad agire senza disporre di particolare organizzazione o risorse?
Oggi, soprattutto grazie ad internet, per preparare un attentato e disporre della informazioni necessarie sono sufficienti 48 ore. Del resto, la pistola utilizzata è il modello in assoluto più facile da reperire sul mercato nero delle armi.
Come sta operando la nostra intelligence?
I servizi segreti hanno lanciato ufficialmente l’allerta per l’escalation delle violenze 7 mesi fa. Operazioni della Digos e della Polizia Postale hanno consentito, inoltre, di eliminare alcune situazioni pericolose alla radice. In ogni caso, mentre i sevizi devono reperire le informazioni necessarie per definire lo scenario, è compito della politica e delle forze dell’ordine agire per prevenire o reprimere i fenomeni eversivi.
Lo stanno facendo?
Lo Stato ha messo in campo tutte le azioni volte a garantire la sicurezza dei cittadini. Resta il fatto che gli attentati sono, per definizione, imprevedibili e l’allarme non può che restare alto.
Anche la gente comune è a rischio?
Sì. Se si colpisce un funzionario di Finmeccanica o si compie uno sfregio nella sede di Equitalia con una molotov, significa che s’intende perseguire un terrore il più diffuso possibile. D’altronde, tutti sono a conoscenza degli omicidi eccellenti degli Anni di piombo, ma nessuno ricorda quanti benzinai furono uccisi dalle Brigate Rosse che si finanziavano con le rapine.
Come si torna ad una situazione di normalità?
Per prima cosa è fondamentale calmierare il conflitto sociale che sta mettendo seriamente a rischio la tenuta dello n azione. Inoltre, dato che queste forme di terrorismo stanno interessando molti Stati dell’Unione europea, è necessario un maggiore scambio di informazione tra i Paesi coinvolti e individuare una soluzione a livello comunitario.
(Paolo Nessi)